Fuenzalida: invenzione di un padre e di una Nazione
Fuenzalida parla di un padre le cui tracce riemergono da un sacco dell’immondizia per raccontare la storia recente di un’intera nazione: il Cile.
Fuenzalida è un padre chiamato per cognome di cui si cercano le tracce in mezzo all’immondizia.
È proprio l’immagine di una donna che fruga fra gli scarti quella che meglio identifica la protagonista del romanzo di Nona Fernández, “Fuenzalida” edito da Gran Vía (traduzione di Carlo Alberto Montalto, pp. 232, euro 16,00).
“La spazzatura è un pozzo nero da cui non si può uscire. Da un secchio si passa a un sacco di plastica. Dal sacco di plastica a un camion, dal camion a un centro di raccolta e da lì a una discarica o a una fogna. Il percorso ha la stessa durata di un funerale. I corpi sono nascosti dentro sacchi neri, restano lì per un po’ di tempo, sui marciapiedi delle case che prima abitavano, e poi vengono trasferiti in una grande fossa comune. Da lì non è più possibile recuperare nulla. La ricetta medica, il biglietto dell’autobus, il santino del battesimo, la tazza di porcellana rotta, il biglietto per la prima di uno spettacolo, il fiore appassito, il miscelatore di quel bar, il biglietto per attraversare la costa in pullman, la musicassetta col nastro tagliato, l’accendino scarico, il telegramma di quel giorno, il numero telefonico annotato sul tovagliolo, la vecchia fotografia del papà. Tutto ciò che va a finire in quel mare d’immondizia rimane a galleggiare lì, per poi colare a picco senza possibilità che la corrente lo riporti indietro.”
Da questo oblio inevitabile si salva la fotografia di Fuenzalida, di cui la figlia si appropria: è il suo modo di riscattare il passato. La donna, a sua volta madre di Cosme, vive in una casa disordinata. Nel suo ciarpame ci sono “resti di cibo, un mazzo di fiori secchi, un’infinità di pagine stampate con possibili sviluppi per la mia pessima telenovela. Personaggi insulsi, storie già viste, dialoghi osceni, un luogo comune dopo l’altro. Tutto orribile. Nient’altro che spazzatura. I miei sacchi sono lì, zeppi di quell’immondizia e tranquilli, proprio come me”.
Poi, il ritrovamento della fotografia: dalla stasi dell’immondizia si passa all’azione.
Fra ricerca e invenzione della figura paterna, la protagonista applica lo schema che conosce meglio: quello delle telenovelas, che per lavoro scrive. Lo fa, come sempre, seguendo la formula magica “AVMBP + MA” (di cui non svelerò il significato, ndA). Navigando in cerchi concentrici che mescolano piani di lettura, generi narrativi e collocazioni temporali diverse, la donna non solo introduce il lettore alla sua formula magica ma, al contempo, gliela sottopone, accompagnandolo in un’avventura metaletteraria. Foto-ricordo, sigarette, bucce di agrumi: nella narrazione della Fernández non si butta via niente, tutto si fa espediente narrativo.
Eppure “le telenovelas hanno una certa logica, la vita no”.
La protagonista è al contempo madre preoccupata per la salute del figlio Cosme, caduto in un sonno lunghissimo a causa di un ematoma cerebrale, e figlia impegnata nella ricerca delle tracce paterne.
Figura collante fra due generazioni che altrimenti si ignorerebbero, prende con coraggio in mano un passato scomodo per narrarlo ai posteri. Lo fa secondo una narrazione fuori – ma non troppo – dagli schemi prefissati che adotta per le telenovelas; fuori – ma non troppo – da trame prevedibili e scrause. Proprio in quel “ma non troppo” sta il controllo che la donna esercita sulla sua stessa vita, attraverso la scrittura. Una scrittura che espone, rende vulnerabili ma che poi, in qualche modo, riordina ciò che era sparpagliato, dandogli senso. Da una parte ci sono le griglie, i punti d’appoggio, quello che ha studiato. Dall’altro c’è la vita, le emozioni sparpagliate e ritrovate all’improvviso come una fotografia in mezzo all’immondizia.
Fuenzalida è il tentativo di dare un senso alla vita di un padre conosciuto troppo poco. Come tutti i padri, anche Fuenzalida in questa storia aveva due opzioni: essere l’eroe o il cattivo. Costretto ad insegnare arti marziali a un gruppo di torturatori temutissimo e clandestino che ha in mano le sorti di suo figlio, lo vediamo sparire dalla vita della figlia per proteggerla. Imponente nel suo kimono e con la sua catenina col pendente a forma di toro, ha lasciato di sé soltanto l’assenza. Fuenzalida è l’eroe. Un eroe che ha vissuto la caduta di Allende in Cile, il regime militare di Pinochet. Fra discorsi fatti di spalle con personaggi senza volto, senza mai guardarsi in faccia, voci che svelano segreti o minacciano, desaparecidos e figli da riscattare, scopriamo le ferite ancora aperte di un intero Paese.
Fuenzalida racconta di padri alla ricerca, di padri cercati, di padri ricercati, unendo storie familiari alla Storia Nazionale, attingendo ad un immaginario pop, ai film di Bruce Lee, per evocare un “eroismo di cartone” che fa i balzi fra gli anni ’70 e il presente.
I capitoli sono scanditi da altrettante immagini di draghi: di carta, d’argento, di farina, di fumo, di spazzatura.
La spazzatura: lì inizia e lì finisce, il romanzo di Nona Fernández. Lì attinge per raccontare, partendo da una fotografia, i corpi devastati delle vittime della sua patria, per restituire loro un nome e una dignità. Tenace, la protagonista del suo romanzo porta infatti avanti le sue ricerche personali e politiche mentre la salute del figlio è a rischio: nell’andirivieni ospedaliero riflette sul passato e sul presente, sull’ex marito e la sua attuale compagna, immaginando con preoccupazione le “minivite” del figlio Cosme nel tempo che passa con loro. Approfitta del silenzio delle stanze d’ospedale per preparare una risposta alle domande che Cosme un giorno le porrà sulla figura di Fuenzalida: indaga per come può, fonde immaginazione e Storia, paure e ipotesi, un salto fuori e un salto dentro il passato, percorrendo le tracce di un uomo con il kimono e di voci che reclamano desaparecidos e denunciano torture. Imbastisce una storia come può, la protagonista, per colmare i vuoti.
“Io non ho mai condiviso minivite con Fuenzalida. Ho solo condiviso momenti, attimi. E pochissimi. […] I miei pochissimi momenti con lui hanno la forma di una fotografia ritagliata con delle forbici. Non c’è molto di cui parlare. Una storia senza sviluppi, senza finale, solo un punto di partenza, i primi dieci episodi della telenovela. Poi Fuenzalida è scomparso.”
Nell’attesa del risveglio del figlio, la protagonista fruga nella sua personalissima spazzatura interiore per cercare le giuste fotografie, applicando qua e là gli schemi narrativi delle sue telenovelas.
Il tempo avanza, deve aver pronta prima possibile una sua versione dei fatti qualora sorgesse la domanda “Chi era Fuenzalida?”.
Il romanzo non è altro che un tentativo di risposta a questo interrogativo, storia familiare a cavallo fra tre generazioni, congetture fuse con dati storici, idealizzazioni e amare certezze.
In questo personalissimo viaggio, un padre mediocre è reinventato, trasfigurato, visto con gli occhi di una bambina che non l’ha mai conosciuto davvero e reinventato con quelli di una donna che lo ipotizza da lontano.
“Chiudi gli occhi e sognami. In quei corridoi il mio riflesso può muoversi e perfino danzare. Prendi i fili di questa marionetta, prestale la tua voce e poni sulla mia bocca le parole di cui hai bisogno…
Inventa una storia che ti serva da ricordo”
Come ne “La casa del dolore altrui”, di J. Herbert, di cui ho già scritto QUI, anche in Fuenzalida fa capolino una Cina laddove meno la immaginiamo: prima in Messico, qui in Cile.
Era il primo testo della Fernández che leggevo, probabilmente non sarà l’ultimo.