Nella notte di Macao
Si saliva una lunga scalinata, procedendo verso una struttura che si ergeva tanto imponente, quanto sospesa, surreale. Contro il cielo bianco e luminoso si stagliava scura e ferma. Sarebbe stato impossibile per un architetto realizzare volutamente un’opera di tanta potenza, un trattato di metafisica in pietra. Le rovine della Cattedrale di San Paolo erano salde, in piedi contro ogni buon senso. Dietro lo splendore di quella facciata barocca portoghese, c’era infatti il vuoto. La storia ha voluto che di quella cattedrale eretta dai gesuiti nel lontano Seicento, oggi non rimanesse nulla di più che una facciata, perfettamente intatta, con le sue statue che ci osservano ancora mantenendo invariati i loro equilibri segreti, che tutto tengono saldo. I turisti osservavano per un attimo in silenzio, solo la risata di un bambino si sentiva in lontananza, mentre una coppia si scambiava cenni che non turbassero una quiete così sottile.
Macao era una città incredibile sotto molti di vista. In nessun altro posto al mondo Oriente e Occidente si sono legati in modo tanto significativo ed armonico. Il resto di un pomeriggio tanto tranquillo lo avevo passato poi alla Casa della Cultura del tè. La sua facciata senape, con le sue rifiniture bianche, mi rimandava ad un’Europa calda e mediterranea, familiare e accogliente. Appena entrata però le geometrie orientali diventavano preponderanti e sullo sfondo bianco di un muro c’era il legno, dipinto di ideogrammi verdi che non ero in grado di decifrare. La scrittura ideogrammatica è uno scoglio non indifferente per noi occidentali, ma l’ampia diffusione della lingua portoghese qui a Macao mi ha permesso di orientarmi e di farmi capire senza troppe incomprensioni. Ero sola davanti al rosso cremisi dei tendaggi e ai colori tenui delle ceramiche da tè, manufatti antichi per onorare una ritualità ancora più antica. Il rito del tè si ripete ogni giorno con i suoi tempi e i suoi silenzi.
Dopo una giornata così tranquilla, passeggiando senza meta come un gatto, tra vialetti e villette d’epoca coloniale, realizzo solo ora di vivere la notte della città più densamente popolata della terra. Solo ora mi trovo veramente in mezzo al traffico, e la città si è accesa di luci. Tutti gli edifici ora si innalzano e si splendono, le vie continuano ad essere piene di passanti, Macao non dorme mai. La città negli ultimi anni è diventata la capitale del gioco di tutta l’Asia, un tempio di luci e grattacieli. Dicono che oggi nemmeno la scintillante Las Vegas possa più reggere il confronto con Macao. Sul nero del cielo si stagliano grattacieli elettrici, gialli, fucsia, azzurri. Le loro luci si riflettono infrante sui flutti del fiume che placido attraversa la metropoli, incurante del fermento che lo circonda. Una vecchia con un cappuccio rosso si avvicina, mi mormora parole che mi giungono indistinte. I volti di due ragazzi che passano scoppiano in una risata beffarda, tingendosi del verde di un neon, per tornare subito nel buio. Giallo e rosso, le insegne lampeggiano invitando i passanti ad entrare. Io non riesco a decifrare nessuna di queste scritte e mi faccio avanti tra la folla seguendo i colori, perdendomi dietro una serie di impressioni, affidandomi solo alle luci.
La mia solitudine vorrebbe forse che entrassi in uno dei tanti locali che vedo. Sono arrivata su una delle arterie principali della vita notturna di questa città. Passo davanti due buttafuori e da sotto la porta fa capolino una sottile striscia violetta di luce. Una ragazza minuta indossa una parrucca a caschetto verde fosforescente, la seguo con gli occhi, fino a che non si perde anche lei tra il nero e il viola. Si apre la porta, è viola e musica, si chiude e nel nero la musica torna lontana. Sono indecisa, la curiosità mi spingerebbe troppo ad entrare. Tuttavia, non posso perdermi, solo apparentemente sono randagia. Sono finita qui a Macao praticamente per caso, è stata un’incredibile sorpresa, ma domani mattina dovrò già ripartire. Custodirò gelosamente tutti questi colori, gli abbinamenti esotici, le tinte familiari, il loro accordarsi con i silenzi profondi e i rumori lontani, con le parole di una lingua sconosciuta e di una familiare.
PUBLIREDAZIONALE