Indovina chi viene a cena
Se si nasce a Bogotà, Colombia, di una cosa potete essere certi: non si nasce con un grande senso di fiducia nel prossimo. Anzi, passerete un bel po’ di tempo in macchina, a piedi, nei mezzi pubblici, con un senso di inquietudine che diventerà parte del vostro carattere. Inevitabilmente.
La città è immensa, il paese tendenzialmente violento.
Vivo in Europa da circa vent’anni eppure ancora la coda del mio occhio va a cercare subito, al calar del buio, le persone che sono attorno a me in qualunque strada mi trovi a camminare.
Che in Italia le cose fossero leggermente diverse per me era cosa certa. Giustificata? Non lo so. In realtà a Palermo, dove ho sempre vissuto, ho imparato a rilassarmi (solo un po’). Capivo quali erano i posti e le strade in cui potevo stare più serena, lavoravo in un call center a turnazione notturna e mi muovevo con una certa nonchalance. Sempre facendo attenzione (sono una donna e chiunque appartenga al mondo femminile sa che noi non possiamo permetterci mai di rilassarci completamente) ma senza paranoie.
Una mattina seduta al bar con vista alle montagne valsusine, dove abito ora, ho letto nel giornale, per puro caso, di questa associazione Rete Italiana di Cultura Popolare che organizzava cene a sorpresa con famiglie di richiedenti asilo e rifugiati in Val di Susa, cene allegre, piene di cibo e chiacchiere.
Poi ho adocchiato gli altri articoli.
Il filo conduttore di quasi tutto il resto delle notizie del giornale era la paura.
Chiudere. Negare. Bloccare.
Ho meditato qualche minuto su questa sensazione che ultimamente è tornata a farmi compagnia.
Quella della diffidenza nei confronti degli estranei.
Chi per estranei voi intendiate non è importante. Quello che conta è che se vi fermate a pensare ne siamo tutti pervasi. Siano migranti, stranieri, avversari politici, vicini, passanti…insomma, tutta la gamma di persone fuori dalla nostra cerchia quotidiana.
Infatti dal momento in cui ho mandato l’email per richiedere informazioni a Tommaso, è stato un crescendo di perplessità. Non solo per il fatto in sé di incontrare nuove persone che non conoscevo ma perché avevo deciso che in questo appuntamento al buio avrei trascinato tutta la truppa, che include un filosofo e due adorabili pestifere di quasi cinque e quasi due anni.
Quando eravamo in macchina pronti per scendere e suonare il campanello ho guardato il filosofo. Gli ho detto, è un esercizio di fiducia negli altri. Lui, dall’alto della sua sapienza, mi risponde, io direi prima in noi stessi.
Io spesso non capisco le sue sentenze che mi ricordano vagamente il maestro Miyagi e quindi tendo ad ignorarle, ma quel giorno avrebbe avuto ragione.
Non solo nei confronti della fiducia nelle nostre capacità genitoriali, considerando che le due adorabili pestifere hanno smontato letteralmente la casa alla sconvolta e divertita famiglia ospitante. Ma poi, parlando seriamente, il discorso riguardava la nostra capacità critica nel non lasciarci trascinare in venti di propaganda e strategie della paura e infine nel non perdere mai il quadro generale. Il pianeta terra che adoriamo dividere maniacalmente in continenti, paesi, città, provincie, comuni, quartieri, case, sale da pranzo, sedie su cui siamo seduti è un puntino azzurro in mezzo al dannato nulla. Dove ci poniamo in questa prospettiva noi?
Della cena posso dirvi tanto, ma riassumo raccontando che dopo qualche minuto di imbarazzo nelle presentazioni, eravamo ai discorsi su una faccia una razza. Loro armeni. Noi siculo-colombiani. Caucaso, Mediterraneo e Caraibi, signori.
I discorsi attorno al cibo e al vino, entrambi perfetti, si sono fatti sempre più amichevoli. Abbiamo avuto tempo di confrontarci su tutto, di accorgerci che Armenia è una nazione ma anche una cittadina in Colombia vicino alla quale è nata mia mamma. Di come prepara il tabulè Arevyk e di come lo “incoccia” invece la zia Maria di Marsala. Della bontà delle melanzane in ogni ricetta. Abbiamo parlato delle montagne valsusine con lo sfondo della spettacolare Sacra di San Michele che a loro ricordavano i monti armeni e a me i cerros dell’altopiano bogotano.
Ci siamo salutati e ripromessi al più presto un altro incontro magari col bel tempo e una grigliata.
Di cosa abbiamo tanta paura?
L’educazione civica dovrebbe partire dal riprenderci i nostri spazi vitali. Rivedere il nostro senso di comunità e ampliarlo. Fuori da schermi virtuali e schemi mentali. Lontani dalle bufale. Piazze, caffè, parrucchiere, librerie, cene a sorpresa. Chiacchierare e conoscerci.
Se ci sono cibo e storie di vita non si sbaglia mai.
Se anche voi siete in Val di Susa e volete fare un esercizio che vi farà acquistare amici e felici chili in più non esitate a mandare un email a indovinachivieneacena.valsusa@gmail.com.
Per chi invece vuole sapere di più riguardo al progetto, consultate il sito
https://www.reteitalianaculturapopolare.org/indovina-chi-viene-a-cena.html