Cuccurucucu, paloma
Cuccurucucu, paloma…
L’assolo, Alan, lo faceva con una tazza di latte e caffè. Una bevanda che lo riempiva di energia regalandogli una straordinaria lucidità. Una strana forma di lucentezza necessaria per programmare, fin dalle prime luci del mattino, le sue imprese quotidiane o, meglio, le gesta eroiche che in quella giornata avrebbe portato avanti. Nulla di intrepido, s’intende, ma di avventuroso, certamente. Solito bar, stesso tavolo accanto l’entrata. Una colazione offerta dal buon Paulus, ivoriano come lui, barista per caso e fedele amico di viaggi e di ritorni.
La vita da clochard, anche se certo non lo riempiva di entusiasmo, era comunque qualcosa che lo rendeva quasi felice, doveva solo cercare di non lasciarsi andare oltre i margini. Tutto era più facile se riusciva con dignità a organizzare il suo percorso quotidiano per la raccolta. Ogni giorno occorrevano quindici euro, nulla di più.
Cuccurucucu, cantava…
Dicen que por las noches
No mas se le iba en puro llorar
Dicen que no comia
No mas se le iba en puro tomar…
Ay, ay, ay, ay, ay cantaba…
Per Alan la città era il luogo dove esercitare le proprie abilità. Prima di uscire e iniziare la giornata, preparava un piano di azione destinato al successo (non avrebbe mai organizzato la propria vita prevedendo l’ipotesi di fallimento).
Alto, di mezza età senza un capello bianco, la pelle avorio contornava un corpo robusto ma elastico, occhi neri e grandi da cui affioravano sogni e misteri, sembravano due pozze profonde e scure dentro cui nuotavano nuovi desideri.
Cuccurucucu, cantava…
Que una paloma triste…
Sosteneva, chiacchierando in giro con chi aveva voglia di ascoltarlo, nonché ogni volta che qualcuno sembrasse stupito per la straordinaria bonarietà con la quale affrontava ogni avversità, di essere un ostinato ripetente, cioè un vecchio corpo con una giovane vita. L’ultima, quella attuale da povero, era l’ottava vita.
Per Alan, il futuro era un tempo benevolo, nel quale tutto poteva ancora accadere, tutto poteva realizzarsi, tutto poteva succedere. Nel futuro di ogni uomo, ogni cosa esiste e tutto è possibile.
Ne aveva passate tante, raccontava, cosicché qualsiasi novità per lui era solo una ripetizione di cose già vissute. Sacerdote, padrone terriero, lottatore, schiavo, libertino, figlio dei fiori, operaio, mercenario, contadino, astronauta, rivoluzionario…
Cuccurrucucu, cantava…
Aveva viaggiato, parlato lingue straniere, fatto l’amore con donne di tutti i continenti, pregato dentro cattedrali e moschee, aveva conosciuto poeti e musicanti, suonando al pianoforte le più belle musiche del mondo. Colpe e nefandezze le bilanciava con gli atti di altruismo e coraggio. Padre, fratello, amante e marito, Alan aveva raccolto enormi ricchezze, aveva sofferto la fame e ballato un samba sotto la luce delle stelle.
Adesso, in questa nuova vita, spingeva il suo trolley come un viaggiatore che, sceso dalla nave dopo una lunga peregrinazione, è in cerca di un posto dove fermarsi per raccontare la sua storia e bere un caffè in compagnia.
Vite andate, vecchie storie adagiate una sopra l’altra, come una torta a più strati da mordere con ingordigia e rabbia alla fine del viaggio. Tempeste, naufragi e attracchi non bastavano a spiegare il motivo per cui adesso questa città sembrava non offrirgli una nuova opportunità.
Cucurrucucu paloma
Cucurrucucu, cucurrucucu…
Per terra, sotto un cappotto come coperta e un trolley di fianco come riparo, finì l’ottava vita di Alan. L’ultimo giorno di marzo alle tre di notte, presso un porticato del parcheggio centrale, sette minuti di follia bastarono a quattro balordi per festeggiare la fine di una notte allegra, quindici euro il loro bottino per allungare la notte con l’ultima birra. Quasi arrivava la primavera a Palermo.