L’equilibrista
“Tu arrenditi a tutto, non giudicare chi sbaglia
Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso
Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso”.
Questa canzone appare nei video consigliati per me nella mia sezione YouTube. Qualche mese fa l’avrei forse ascoltata e messa da parte, ma non quel giorno. Forse le canzoni lo sanno e riescono a darci la mano da lontano. “L’impresa più grande è perdonare se stesso”, canta Cristicchi. Perché concediamo un margine d’errore più grande agli altri e sempre più claustrofobico a noi stessi?
Perché riusciamo ad abbracciare chi è ferito, stanco, sporco dei guai della vita e non riusciamo a dare lo stesso amore a noi stessi? Ascolto anche le pause di questa musica e rifletto su tutte le cadute. Alcune sono state lievi, risultati di piccoli sgambetti, inciampi, pietruzze fastidiose incontrate sul cammino. Altre sono state colossali, dolorose, mi hanno lasciata a terra boccheggiante. L’unica cosa tra la mia caduta e il mio stare in piedi era il perdono, la compassione che dovevo a chi se la meritava e a me stessa. Anche quando non me la meritavo. Spesso riusciamo a distribuire copiosamente ciò di cui avremmo più bisogno. Un pezzo di perdono a te, e anche a te. Ho dimenticato tutto, sono pronta ad amare di nuovo. Dov’è il mio pezzo di perdono?
Non lo trovo più. Forse non l’ho mai messo da parte per i miei giorni di pioggia, l’ho finito tutto. E non mi so più rialzare perché tra le mille mani che mi vogliono sollevare manca la mia, manca la tua. Me ne resto qua, pensando “all’impresa più grande” che risuona nell’altoparlante del mio telefono.
Dopo quanto tempo scontiamo le nostre pene, le nostre colpe, i nostri dolori vecchi di cento anni che non abbiamo mai mostrato a nessuno? Dopo quanto tempo abbiamo condonato i nostri peccati al tribunale interiore? Dopo quanto tempo sentiamo il sole sulla pelle senza sentirci in colpa per aver rubato un pezzo di felicità?
Chiedo in bilico, pericolosamente scomposta, mentre oscillo sul filo delle mie domande. Non so guardare giù e nemmeno avanti. Riesco solo a restare ferma aspettando che il perdono arrivi dal cielo come una scrollata possente.
Io, l’equilibrista, non l’ho mai saputa fare.