Bruno racconta
Bruno è un tipo apposto. Uno di quelli che non possono non piacere. Uno di quelli che a scuola va fortissimo in Scienze ma non tanto in Matematica, per intenderci. Che se gli metti in mano una bici da Torino e gli dici pedala te lo ritrovi, come fosse niente, davanti alle saline di Marsala, a misurare la granulometria del limo della laguna.
Bruno racconta tante cose. Del sud est asiatico, della città che è un tappeto sterminato di templi in mezzo alla giungla, del sud america dove si fa l’amore nei fiumi, della foglia di quella strana pianta con effetti allucinogeni.
Bruno racconta che ha visitato Amsterdam una volta, di passaggio con l’aereo. Era il suo primo volo, indimenticabile. È stato quattro ore all’aeroporto e poi è ripartito direzione Manchester. Qualcuno gli fa notare che così non vale. Che fare uno scalo di quattro ore all’aeroporto di Amsterdam non vuol dire visitare Amsterdam. Bruno si toglie gli occhiali, li pulisce con un tovagliolo della pizzeria, ordina una bottiglia di passito per tutti e continua a raccontare, come se non avesse sentito, perché quello che conta veramente è abbinare il bicchiere buono alla compagnia giusta.
È uscito fuori dall’aeroporto per un’ora a guardare gli aerei partire. Si è messo lì ad aspettare nella zona di terreni incolti attorno all’aeroporto osservando le piste. Uno ogni cinque minuti partivano e atterravano, una cosa impressionante, racconta. Non aveva mai visto un aeroporto più trafficato di quello.
Continua a raccontare ad alta voce che lì fuori, mentre osservava questo spettacolo degli aerei che partivano e atterravano senza sosta, a quattro passi da dove si trovava aveva visto ferma di fronte a lui una lepre, una piccola lepre. Una robina così, dice, e allarga le mani a fisarmonica di una trentina di centimetri. E la lepre si materializza, sopra il tavolo della pizzeria, tra i bicchieri di passito che qualcuno nel frattempo ha cominciato a sorseggiare. Del suo viaggio direzione Sheffield, via Manchester, via Amsterdam l’incontro con la lepre è solo il secondo episodio saliente.
Il primo è prima della partenza. Quando il padre della sua ragazza di allora gli consegna un pacco da portare a Sheffield. Un pacco pieno di cose strepitose, come le acciughe al verde della nonna, che probabilmente sono il motivo per cui la lepre di Amsterdam si è mostrata così interessata a Bruno, lì ferma a due passi di fronte a lui, tra i campi incolti attorno all’aeroporto.
Bruno racconta anche della cinese alla stazione di Manchester. Certo che cercare un treno direzione Sheffield era dura, per uno come lui che la lingua del sommo Shakespeare non l’aveva mai proprio nemmeno masticata per errore. Inutile sfoggiare una discreta scioltezza nel francese, perché con quella roba lì i sudditi di Sua Maestà solitamente si puliscono il deretano. Comunque sia, le ferrovie del Regno devono tutte portare a Sheffield a quanto pare. Dato che anche questa ragazza orientale sapeva quale era la platform giusta.
E avendo notato Bruno lo avrà preso in simpatia, così lo istruisce sul da farsi. Ma anche la simpatia può averci un tornaconto personale, e stavolta si tratta di un pacco da portare. Così Bruno si ritrova a tracolla il borsone della fidanzata, con le acciughe al verde coinvolte in una tarantella scatenata, in spalle lo zaino con qualche abbondante chilogrammo di sacrosanti effetti personali e tra le braccia, per scale a scendere e salire lungo le mille platform della stazione di Manchester, uno scatolone made in Cina pesante come il piombo. Probabilmente dentro un’intera famiglia di cinesi transfughi irregolari cercava di fregare i controlli della Police railway, istruita da Margaret Tatcher in persona.
E poi lì, a Sheffield, l’arrivo a tarda sera finalmente. Una nebbia, anche quella pesante come il piombo. Non si tratta del solito fenomeno atmosferico che viene definito con quel nome. La nebbia di Sheffield è qualcosa di diverso. Uno strato denso di materia, un vapore pietrificato. Quella nebbia lì si è accomodata presto con tutto il suo peso sul naso di Bruno, incastrata tra le lenti degli occhiali e gli occhi.
Tutto il resto svanito, compresa la ragazza che, con quel tempaccio da cani, non se la sente di raccoglierlo alla stazione e che dal ricevitore della cabina telefonica spiega le sue ottime ragioni alle orecchie rassegnate di Bruno. Non avrebbe funzionato, quella storia lì. Le premesse del sillogismo sentimentale erano già tutte apparecchiate davanti agli occhi di Bruno. Occhi cecati, però, e non solo dalla miopia e dalla nebbia.
C’è infatti un modo di farsi cecare dalla vita che è come vivere con occhi semplici e profondi. In Bruno che racconta i fatti suoi appare delizioso e naturale. Lasciare che le cose vadano così come devono andare. L’unica è occuparsi poi soltanto di regalare a chi ti sta a sentire un buon racconto e magari anche un buon bicchiere, che non guasta mai.