Tina, Babilonia non esiste!
Se qualcuno dovesse chiedere a Concetta Lisandro, bidella della scuola media Vittorino da Feltre da circa dodici anni, di descrivere la porta di Ishtar, beh, avrebbe di che stupirsi. Concetta Lisandro, Tina per studenti e Professori, la porta di Ishtar la osserva ogni mattina. Se ne sta seduta dietro a una cattedra nel corridoio e osserva tutti quegli animali reali e fantastici su sfondo blu.
Perché la prof d’arte ha studiato e c’ha pure un bel sedere tornito che bidelli e professori commentano sempre.
Lui aveva fatto un gesto con le braccia come dire “Ormai è tardi” e lei si era ingobbita sulla sedia accanto al tavolo
“Un disegno fatto dai ragazzi, Tina. Solo un disegno appiccicato a un muro, non si può pretendere mica niente di più da questi qui. Lo vedi anche tu, no?” La macchina ha fischiato, la prof si è chinata per estrarre il bicchiere di plastica mostrando il sedere a Tina. “Un disegno, Tina. Quella vera sta a Berlino, mica su un muro della scuola, Tina!” e se ne è andata passando tra la cattedra e il grande disegno murale. Senza rivolgere manco un’occhiata alla bidella.
E forse voleva pure essere simpatica, pensa Tina. Quando la prof di arte fa così, però, le sta un po’ sulle palle.
Perché a Berlino, poi, Tina non lo ha mica capito. Berlino è su, a nord. Babilonia e la porta di Ishtar, invece, le risultano essere da un’altra parte, verso sud. In Germania ci lavora suo fratello Carmine. Tina sorride mentre pensa a suo fratello, spaesato, di fronte alla porta di Babilonia. Cammina per la strada avvolta nel pastrano beige che la ingoffisce e la fa più grossa di quanto già non sia. La testa è china sugli stivaletti in finta pelle nera comprati su internet. Non le piacciono, non corrispondono alla foto che aveva visto sullo smartphone. “‘Na brutta cosa, Gaetà” aveva detto una volta indossati, dopo aver piegato il piede a destra e a manca nel tentativo di trovare uno spiraglio di bellezza. “‘Na merda, Gaetà” aveva ribadito al marito seduto sul divano di fronte alla Tv dell’unica stanza dell’appartamento. Lui aveva fatto un gesto con le braccia come dire “Ormai è tardi” e lei si era ingobbita sulla sedia accanto al tavolo. Una colonia di lacrime si era concentrata sotto le palpebre. Suo marito non brillava certo per empatia e comprensione, ma in fondo aveva ragione. Per quell’anno non si sarebbe potuta permettere altro. Ora Tina non pensa più a suo fratello, alla Germania e alla porta di Ishtar, ovunque essa sia. Sbuffa e non sorride più.
La prof di arte. Lei si, pensa Tina, si può permettere gli stivaletti di pelle vera. Si può permettere anche di vedere la Porta di Ishtar dal vivo. Tina l’ha vista su internet. Sullo smartphone l’immagine era piccola, ma lei ne è rimasta impressionata. Ha quindi provato a cercare informazioni, ma erano scritte in maniera difficile e non ci ha capito niente. Non sono mica la prof d’arte, si è detta. Però a mettere la foto come immagine di sfondo dello smartphone ci è riuscita. Ci ha tribolato un po’ su, ma ci è riuscita. Di questo ne va alquanto orgogliosa. Suo fratello, quello che lavora in Germania, non ci sarebbe riuscito. Suo marito Gaetano, vabbé, lasciamo perdere. Tina ricomincia a sorridere. La vetrina del negozio di scarpe riflette un ciuffo che, ribelle, si è scostato dalla cuffia e dalla sciarpa. Sotto il ciuffo, oltre la vetrina e oltre il fiato condensato, un paio di scarpe in pelle. Nere con le paillette, le frange e pure un po’ di tacco. Sembrano quelle che aveva la prof di arte lunedì mattina, dice Tina. Lo dice ad alta voce e poi, con il viso arrossato dal freddo e dal pudore, si accerta che nessuno l’abbia sentita. Il corpo slanciato, il passo sicuro, gli sguardi e le battute di colleghi e bidelli.
Tina pensa di non aver mai udito un tono più caldo nella voce di un uomo. Le pupille si dilatano e la voce le trema in gola.
Il commesso è un bel ragazzo giovane e cortese. La barba corta e delineata sulla guancia, le sopracciglia in ordine, il capello appoggiato morbidamente sulla sinistra, il brillantino all’orecchio destro, il carnato roseo perfetto sul pelo scuro, un maglione nero a girocollo. Porgendo la scarpa mostra una mano sinistra affusolata e curata, incorniciata da un orologio color oro. Tina è sempre stata attratta dalle mani degli uomini. Le piacciono le unghie nettate con perizia, la pelle lucida e poco pelo sul dorso. Il contrario di Gaetano, insomma. Tina scatta una foto dello stivaletto calzato. Ci vuole fare una storia su Instagram. Almeno quello, pensa. Quando appoggia il telefono sulla poltroncina il commesso, chinato, intravede lo sfondo con la porta di Ishtar. “Quella cosa” indica il telefono con l’indice e sorride “quella cosa io l’ho vista” sposta lo sguardo su Tina e aggiunge “una meraviglia”. Tina pensa di non aver mai udito un tono più caldo nella voce di un uomo. Le pupille si dilatano e la voce le trema in gola.
“Do… dove? A Babilonia?” chiede. E le pare il labbro inferiore abbia seguito le parole e con traiettoria ondulata si sia diretto verso la bocca del commesso.
Lui inarca le sopracciglia formando un paio di archi a sesto acuto. “Babilonia?” risponde in tono interlocutorio “No, a Berlino. Qualche anno fa, in gita con la scuola”.
“Ah, Berlino. Con la scuola” A Tina pare di non aver saputo attenuare la cadenza meridionale della sua parlata e se ne vergogna un po’. Sorride e con la mano nasconde la gota sinistra dove i nervi sono in procinto di scaricare la corrente di una intera centrale elettrica.
Tina i soldi per comprare gli stivaletti non ce li ha mica. Tina guadagna poco e il marito oltre che maledire il governo per il lavoro che non c’è, per i raccomandati che sempre se la spassano e per tutti i parassiti che succhiano il sangue della povera gente come lui, altro non fa. Così Tina ha dovuto dire al commesso che gli stivaletti erano belli assai, ma ora di soldi non ne teneva e che glieli mettesse da parte per un’altra volta questi stivaletti che erano davvero carucci assai. E c’aveva una vergogna tale nel dire ciò che la frase le era uscita veloce e il commesso non aveva capito niente o forse qualcosa si perché aveva smesso di sorridere e ammiccare. E Tina aveva dovuto ripetere il tutto e sentiva il sudore raccogliersi nell’attaccatura dei capelli sulla fronte. Il commesso se ne era infine andato e forse manco l’aveva salutata, ma di questo Tina non era sicura. Tina ha calzato le sue scarpe comprate su internet, il giubbotto, la sciarpa, il pastrano e la cuffia ed è uscita dal negozio con un senso di umiliazione che in breve si è fatto solido all’altezza dello sterno.
Tornando a casa Tina ha riconosciuto la prof d’arte in almeno sette donne incrociate sul marciapiede. Ora se ne sta seduta al tavolo e sfoglia ansiosamente una rivista di gossip senza soffermarsi nemmeno sulle fotografie. Gaetano è sul divano. In Tv un politico parla di finanziarie, pensioni e occupazione. Gaetano ha già pronto un bell’epiteto da rifilare all’onorevole, ma Tina lo anticipa “Gaetà, ma a te risulta che Babilonia sta in Germania? Eh Gaetà?” Lo sguardo ancora vaga sulle pagine patinate.
“Ah Tì, che è Babilonia? ‘Na fabbrica è sta Babilonia?”
“Gaetà, mannaggia a te, niente sai! Solo fabbriche conosci te! Babilonia, la città! Quella antica dove ci stavano le fontane e i lapislazzuli e i giardini” Tina si volta verso Gaetano. Fa una pausa e ricomincia “Babilonia Gaetà, eddai, quella con la porta blu che c’ha tutti gli animali…”
“Tì, fermate Tì” la interrompe Gaetano “Tì, sta Babilonia non esiste” La guarda negli occhi per un paio di secondi. Poi rivolge lo sguardo alla Tv “Tì, Babilonia non esiste. Babilonia è ‘na favola. Come le strunzate di sto figlio ‘ntrocchia mannaggia li morti sua.”
Anche Tina guarda lo schermo del televisore ora. “Devo chiedere a Carmine che sta in Germania” dice dopo un paio di minuti. Tina a Babilonia ci crede. Ha bisogno di crederci. Si guarda le mani rovinate e pensa che Babilonia ci deve essere. Per forza. Le fontane, i giardini, le pietre blu, gli animali strani, gli stivaletti gratis, i commessi belli e gentili e tutte le donne con i sederi torniti come la prof d’arte.