Libere, disobbedienti, innamorate
Per ora ho pochissime possibilità di vedere film completi.
Mi diletto nei momenti liberi dal caos con qualche serie o, se il sonno non mi paralizza, con qualche libro.
Ieri è venuto a trovarmi, in un rarissimo momento di calma apparente, un film intitolato In between (nella traduzione italiana Libere, disobbedienti, innamorate); una storia di tre ragazze palestinesi che vivono insieme nella moderna Tel-Aviv, ognuna con una storia e un modo di affrontare la propria femminilità in Medio Oriente. Una è un’avvocatessa, fuma, beve, mette vestiti succinti e va a letto con chi vuole; la seconda viene da una famiglia molto tradizionale e mentre i suoi genitori cercano di trovarle un marito per combinare un matrimonio conveniente, lei è interessata a tutt’altro genere e si innamora di una dottoressa di Haifa. Infine c’è la terza coinquilina, musulmana praticante e fidanzata con un uomo conservatore e bigotto che insiste nel farle abbandonare gli studi per dedicare la sua vita a lui e ai loro figli.
Ho pensato, che cosa complicata essere donne in Medio Oriente, ancora oggi!
Poi il giorno dopo ho accompagnato mia figlia in un parco giochi.
In Italia, Europa, sempre 2019.
Non voglio fare spoiler quindi non vi racconto altro se non che le loro tre storie, all’inizio quasi dissociate e apparentemente normali come quelle di altre trentenni in un qualsiasi paese, si complicano e si attorcigliano attorno al loro essere donne oggi in Medio Oriente; anche in un paese relativamente moderno come può esserlo Israele. Alla fine del film, il mio disprezzo istintivo per tutto ciò che il patriarcato e le becere tradizioni religiose comportano nel 2019 per le donne mi stava davvero facendo girare la testa.
Ho pensato, che cosa complicata essere donne in Medio Oriente, ancora oggi!
Poi il giorno dopo ho accompagnato mia figlia in un parco giochi.
In Italia, Europa, sempre 2019.
C’erano questi due bambini, il fratello sui dodici anni e sua sorella intorno ai sette, attenti a giocare felici e rumorosi sulle giostre gonfiabili. I bambini finiscono il loro turno di giocata e si catapultano con fare disordinato giù e qui la scena si divide in due: il maschio corre dalla mamma facendosi rivestire tutto da capo a piedi, inclusa la immissione della canottiera contro il freddo dentro le mutande, si fa mettere il maglione, la giacca, la sciarpa e il berretto e infine chiudere la cerniera. Un moderno Luigi XIV provvisto di I-Phone.
La bambina nel frattempo si è seduta serenamente su una panchina da sola, si è messa le scarpe, il maglione, la giacca, la sciarpa e alla fine, pronta in piedi a guardare l’altra scena, ha dovuto incassare la mortificante frase di sua madre che le chiede di pettinarsi almeno un po’ perché “sei molto disordinata”.
In quel momento ho pensato al film. Ho pensato alle mie figlie. Ho pensato a tutte le donne del mondo.
Abbiamo un problema serio, signore mie.
Ho pensato che avremmo bisogno e parlo a noi donne, di una vera rivoluzione. Qua non si può più trattare semplicemente di migliorare la nostra qualità di vita, di piccoli proclami sull’uguaglianza che sanno di stantio, né di rimbrotti educativi a qualche maschio fine a se stessi (del genere entra da un orecchio ed esce dall’altro); qua ci vuole un processo di sradicamento di un albero ormai completamente marcio, senza radici, piegato e pericoloso. L’albero che ci ha fatto interiorizzare l’essere delle megere per natura, oppure che siamo incapaci di guidare, che siamo tutte mamme matrone e dittatoriali e schiave dei nostri ormoni; l’albero che ci fa diffidare l’una dell’altra e giudicare senza pietà le altre donne. Tutti continuiamo a tramandare da sempre questo modello sbagliato, dannoso e servile, non c’è equilibrio tra gli uomini e le donne. Proprio per niente. Siamo ancora come le protagoniste del film, criticate perché fumiamo e vestiamo come vogliamo, o perché non scegliamo la vita tradizionale di matrimonio e maternità. Siamo infine cresciute interiorizzando la vergogna del nostro corpo, del nostro essere donne e quindi facendo anche nostra l’idea che in un certo senso ci meritiamo il dolore e la violenza fisica e psicologica che subiamo.
Ho sentito dire a fior di laureati che quella ragazzina (bellissima e molto intelligente) è troppo aggressiva e “mio figlio non saprebbe neanche gestirla, sarebbe intimorito”.
Che senso ha, vi chiedo, se passo le mie giornate a insegnare alle mie figlie quali esseri meravigliosi siano a prescindere dalla sola loro fisicità, dalla necessità di rispettare gli altri, dal fatto che possono fare davvero quello che vogliono, perché la condizione di donna o uomo non deve limitare i loro sogni o ciò che ci sentiamo di diventare, se poi, seguite il mio ragionamento, c’è un’altra mamma che sta tramandando il buon vecchio paradigma del maschio che non piange, che può avere tutto, che non deve vestire di rosa o giocare con le barbie, che deve avere delle serve e per cui nessuna donna sarà mai all’altezza?
E vi dico che nel 2019 ho sentito dire che in una squadra di bambini e bambine di due anni è meglio non scegliere le magliette rosa perché non va bene per i maschietti.
Ho sentito dire a fior di laureati che quella ragazzina (bellissima e molto intelligente) è troppo aggressiva e “mio figlio non saprebbe neanche gestirla, sarebbe intimorito”.
Ho ascoltato storie di gente che si ritiene liberale e radicale, parlare di una ragazzina di quindici anni che accetta cellulari e regali in cambio di favori sessuali a uomini più grandi di lei; e il problema di intervenire non si pone perché lei è consenziente e “sa quello che fa e anzi le piace avere tutti quei regali”. Quindi il problema non verte minimamente sul discorso di vecchi che approfittano di giovani fanciulle usando la loro povertà sociale, familiare e culturale: il problema è lei.
Iniziamo dalla nostra libertà e garantiamo subito (lottiamo per averla nel caso) quella delle altre donne.
Sento papà ancora, davanti ai figli maschi, riferire epiteti alle donne sempre e solo basati sulla loro fisicità e i loro gusti sessuali: quella troia, la bocchinara, il cesso.
Lo sforzo e la rivoluzione deve partire da noi donne che impariamo a non giudicarci e a fare rete, a diventare sorelle, non competere, condividere; partiamo dunque, amiche mie, dal presupposto che vostra cognata o vostra nuora non è il male assoluto ma che magari è vostro fratello o figlio ad avere bisogno di migliorare in certi aspetti. Dal fatto che se una donna è molto bella e intelligente cerchiamo di non sentirci minacciate dalle nostre insicurezze. Non giudichiamo. Iniziamo dalla nostra libertà e garantiamo subito (lottiamo per averla nel caso) quella delle altre donne.
Eh sì. Io continuerò a inculcare alle mie figlie che sono esseri liberi, inciterò la loro disobbedienza contro questi parametri, le inviterò e non avere vergogna di essere innamorate, pregando di nascosto che incontrino nel loro cammino maschietti le cui mamme non abbiano avuto paura di rompere, una buona volta, tutti i legami con gli insegnamenti bigotti e maschilisti che ci hanno tramandato, insegnando ai loro figli che stirare e lavare non è da femminucce, che il rispetto per il corpo e la mente degli altri e di se stessi è la cosa più importante del mondo, che non possono avere tutto ciò che vogliono e che le qualità e i difetti intrinseci di una persona sono legati al suo essere umano, alla cultura, alla qualità della vita che hanno avuto ma di sicuro non al genere.