El muñeco de trapo
La mia festa preferita in assoluto prima di arrivare all’età adulta era il capodanno; specifico prima dell’età adulta perché si sa che da un certo punto in poi nella vita la domanda, “che fai a Capodanno?” diventa argomento di rissa.
In Colombia specialmente, il Capodanno è un meraviglioso compendio di conflitti esistenziali, alcol, lacrime di coccodrillo, malefici, pozioni, scaramanzia e riti magici, pentimenti e buoni propositi. Ogni dicembre si scoperchia tutto e il contrario di tutto; non illudetevi che il realismo magico di Gabo sia stato soltanto un’operazione di marketing. E’ tutto per come la raccontiamo.
Il lavoro di fine anno di un qualunque colombiano che si rispetti, include un formulario ben compilato con diverse richieste al cosmo, il cui sunto principale è quello di pregare per un’altra opportunità: ho sbagliato. Voglio cancellare e ripartire, vita mia, per favore. Dammi un’altra possibilità.
I riti della mezzanotte comprendono le sfere dell’amore, la salute e il denaro: intanto mangiamo 12 acini d’uva e per ognuno esprimiamo un desiderio (essendo veloci e attenti perché altrimenti il primo desiderio dovrebbe essere avere qualcuno accanto che conosca le manovre di disostruzione). Ci vestiamo con un poncho pesante, prendiamo una valigia vuota e facciamo il giro dell’isolato con qualunque temperatura e condizione meteo ché ciò ci dovrebbe garantire molti viaggi. Mettiamo le mutande gialle della fortuna per legare bene tutte le richieste, sperando che non ci sfugga niente.
Piangiamo, 10, 9, 8. Cantiamo 7, 6, 5, 4. Preghiamo 3, 2, 1. Tracanniamo aguardiente e feliz año nuevo! Sono un nuovo io!
Quando ero piccola spesso andavamo a festeggiare l’anno nuovo fuori città. Di tutti i possibili riti il più bello era quello del muñeco de trapo. Facevamo tutta la statale da Bogotà quasi fino a Manizales trovando davanti alle case, pupazzi a grandezza naturale vestiti di tutto punto seduti di fronte agli ingressi. L’anima di questi poveri sciagurati è il gesto che facciamo di caricarli materialmente e spiritualmente di tutte le cose che non ci sono piaciute dell’anno, anzi direi di tutte le cose che abbiamo odiato: sfighe, situazioni drammatiche, persone e parole velenose. Nel petto a mo’ di condanna mettiamo un foglio bianco con la lista dei malefici da esorcizzare, gli appicchiamo fotografie, gli diamo una faccia e finalmente liberi noi, trasformiamo il disgraziato nel nostro perfido e sfigato antagonista.
A mezzanotte bruciamo il muñeco, portando via tutto quanto. Via. Fiamme e tabula rasa. Via. Cenere da cui rinascere. Via.
Questa se mi permettete non la tratterei come una banale tradizione scaramantica, ma come un magnifico momento di catarsi. Necessario. E riguarda la necessità che abbiamo tutti quanti di imparare a perdonarci.
Personalmente ho smesso di chiedere miracoli da un po’ (non perché non ne abbia immenso bisogno) e piuttosto mi diverto ad addobbare il mio muñeco, a comprare nuovi quaderni per regalarmi fogli bianchi, intonsi e a credere nella possibilità che ci dà il tempo di ricominciare e di ricostruire.
Ringraziare per questo.
Poi si brucia. Si beve aguardiente. Si mangiano i 12 acini. Si va a fare un giro dell’isolato dopo la mezzanotte con una valigia perché vogliamo viaggiare tutto l’anno. Vale la pena tentare la sorte. Credere alle favole e ai miracoli di tanto in tanto.
[Foto da internet]