Gatti

Qualcuno l’ho anche addormentato con le gocce di valium, perché erano diventati troppi, perché avevano preso l’abitudine di cacciare i piccioni e di farceli trovare come un trofeo sulla soglia della porta che dalla cucina dava su un giardinetto interno. Ucciderli no, dentro un sacco nero nel cortile della chiesa, come dei figli indesiderati.
Una colonia di gatti neri che spesso stavano a guisa di statue sul muro di cinta, incuranti del vociare quotidiano casalingo e delle intemperie, figuriamoci poi delle minacce.

Il mio ultimo gatto se lo è portato via la tempesta. Non ho nemmeno capito se fosse un lui o una lei, ma in fondo per un gatto cosa importa? Avevo cercato di trattenerlo, ho adattato una cassetta di limoni che ormai limoni non ne vendiamo più, uno straccio e il cibo. Preferiva dormire sotto una vecchia, spinosa buganvillea a ridosso del motorino dell’acqua. Di giorno spariva, mi tradiva con i vicini o forse non voleva restare da solo. Quando sentiva il rumore del cancello mi piombava alle spalle come un proiettile, voleva entrare e stavamo fermi sullo zerbino a guardarci. Era un gatto di strada non si faceva illusioni, randagio cedeva però alle carezze veloci che potevo dedicargli con i sacchetti della spesa e una borsa al braccio. Erano sufficienti per me e per lui. Un gesto e capiva che in casa non c’era posto per lui.
Questo inverno la pioggia ha spazzato via di tutto, anche uomini, ed io mi dolgo per una bestiola.

Mentirei se non dicessi che agito le chiavi più del solito quando torno a casa, ma l’unico risultato è che ho rotto un portachiavi che avevo da più di venti anni. Voglio credere che un vicino più generoso di me gli abbia aperto l’uscio di casa e che adesso poltrisca su un divano, ma non è cosi, il mio gatto è stato portato via dalla tempesta imperfetta. Alla fine mio marito mi chiederà di disfarmi di quella cassetta.