Questa non è una pipa
Se a Magritte glielo avessero detto che un giorno o l’altro, un prima o poi, un senza se e senza ma, qualcuno avrebbe finalmente fumato il suo stramaledettissimo quadro con quella pipa che non è una pipa con tutti gli annessi e i connessi del caso, secondo il mio modesto parere ci si sarebbe fatto su una risata e, magari, preso da una contentezza surreale, avrebbe pure sputato in faccia al primo che passava. (Ci si può sempre immaginare di tutto da uno come lui.)
Io giro e rigiro la mia non pipa tra le mani e mentre mi accingo a degustare le sue essenze aromatiche penso a come, anche quando tutti ti considerano oramai un maestro insuperabile nel prendere per i fondelli la realtà, quella riesce sempre a fregarti.
Non vi sto a spiegare di cosa si tratta, nel dettaglio.
Sappiate solo che c’è di mezzo un’idea, una passione artigiana e un’amicizia appena nata (e qui caro Willy, ringrazio te ovviamente). Mi sembra che per ora possiate farvelo bastare.
Per il resto si tratta, come al solito, di tre minuti del vostro sguardo.
La mia storia col tabacco ha avuto inizio dopo la fine di una storia d’amore.
Ho deciso che il whisky andava accompagnato. Anche lì un amico, un sigaro preso al primo angolo di strada. Un tavolino rotondo sulla via, un pianoforte che suona, due bicchieri di puro malto. Il sigaro tra i denti, volute di fumo davanti agli occhi, un amico che distilla con me nettare di vita. Ne beviamo insieme. Lo annusiamo insieme. Lei non tornerà più: come rotonde volute di fumo pronto a sparire è l’amore.
La seconda, terza, quarta vita che tende all’infinito (e che ho cominciato a vivere da quel momento) ha i suoi furori, i suoi fuochi, le sue boccate d’ossigeno e anche i suoi sigari tra i denti.
Eravamo noi due con le facce rivolte a sud. L’Africa ricambiava il saluto, saltando di slancio la distesa di mare. Era il capo dell’anno. Era il capo di un amore che non si è sfilato. Continua a tessere, intrecciare, tramare a nostro danno o vantaggio, a nostra insaputa.
Fumavo in bianco e nero, di notte, col cappuccio di una felpa grigia sulla testa, la barba incolta, le guance tirate, gli zigomi pronunciati. Fumavo di profilo guardando il sud, il mare; stavamo avvolti nella notte, sotto le luci di stelle d’inverno.
Aprivo l’anno con un amore eterno al fianco, lei subito dopo rientrando per rimettersi sotto le coperte, mi lasciava con un pezzo di Avana nel morso. Con ancora un segno di come il tempo passa, si ricopre di vento, si avvolge di una coperta di fumo. Bruciava dentro di me lo stesso sapore capovolto della prima volta. Scompare l’amore? Si dilegua questo incenso del cuore?
Io sento solo profumo di mare, mi sento capitano di una nave che parte. Le mie rotte sono scritte nel cielo, quelle luci conoscono la via. Il fumo del mio sigaro sale su verso mappe stellari a scrutarne in anticipo i pericoli. A farsi ambasciatore dei miei sogni.
La terza volta era un altro capodanno. L’avevo raggiunta a Praga, lei che mi sfuggiva quel tanto che bastava per farsi ritrovare. Camicia, pantaloni, freddo elegante. Ponte sulla Moldova. Noi sul ponte. Fuochi d’artificio sul castello di Rodolfo.
Ho chiacchierato di metafisica in un perfetto inglese con un francese e un ceco (miracoli di un buon vino di Borgogna o di una birra Pilsner, adesso non ricordo), ballato e riso e chiacchierato in una casa che mi sembrava uscita da una favola, passeggiato con lei al braccio e, ad un certo punto, un punto metafisico dentro questo insieme, ho acceso il sigaro del mio saluto al giorno nuovo. Al nuovo giro di sole che abbiamo preso al volo.
Così ogni volta questa danza planetaria è una boccata di orbite celesti, ogni volta mi rimane addosso per un po’. Ogni volta so che può nuocere gravemente alla salute questo amore e indovino nel volo di tracce evanescenti, un segno divino o una voce, un demone benigno, una cattura o una liberazione.
Questa storia col tabacco ha da finire.
Adesso ho fra le dita un pipa alla Magritte, suo malgrado. La storia si ripete ma ha diversa consistenza. Al fumo di una combustione che non lascia niente sostituisco il gesto di una cura.
Di un’ispirazione che si mette al tavolo, che disegna come un artigiano, che modella, sbaglia un pezzo, si rimette in gioco, lo rifà daccapo.
Quello che vien fuori è una passione per i gesti antichi da laboratorio, per le nascite dal nulla di pipe alla Magritte.
Le boccate di questo ossigeno alle essenze di tabacco saranno divertenti come un’amicizia nata a quarant’anni. Niente nicotina. Niente cenere. Solo il gesto nascosto e plateale di una mano che trattiene, di una bocca che respira, di un oggetto costruito insieme. Mi sentirò sempre un po’ come Tolstoji, a custodire uomini e non cose, o come un quadro surreale che scompare dietro spire fluttuanti di vapore.