Come un napoletano in Val di Susa – Giobbe Covatta ad Almese
Una delle cose che più mi manca della Sicilia è l’attitudine alla multiculturalità.
Mi spiego.
A Palermo u’nivuru, u’cinisi, u’pulentuni, diventano col tempo tutti inevitabilmente palermitani; possono opporsi, rifiutarsi, ma gli stranieri tenderanno sempre a fondersi nel caos locale e così, dopo un po’ di tempo a vivere in città, tutti quanti finiscono per acquisirne l’accento, i modi e soltanto in alcuni tristi casi anche alcuni dei vizi.
Così quando il destino mi ha portato nella Val di Susa cinque anni fa, in mezzo alle montagne vicine al confine francese, ho pensato alla complessa sfida di vivere in una provincia del Piemonte, meno variegata se vogliamo rispetto alla grande vuccirìa che di fatto Palermo è.
Chiunque poi si ritrovi a passare e a vivere in questo posto, dopo poco tempo capirà che in un certo senso mi sbagliavo. Certo, la natura sabauda e pragmatica dei luoghi dista parecchio dal naturale caos, per certi versi magico, del realismo latinoamericano e siciliano di cui si compone la mia anima, ma ciò non ha escluso certe piacevolissime sorprese. Per iniziare, il mio primo approccio alla vera natura di questi luoghi, che mi ha portato ad ampliare le mie strette e ignoranti vedute, è avvenuta in un giorno di autunno nella palestra di una scuola di Susa, quando mi sono ritrovata per caso in mezzo a una festa di bicchieri di vin brûlé e castagne in compagnia di una combriccola di anziani e famigliole a cantare Bella Ciao alla presentazione di un libro di Erri de Luca. In un’altra occasione, invece, sono finita nella cittadina di Borgone ad ascoltare le storie dell’esercito di protezione femminile curdo nell’era di Erdogan, durante la presentazione del libro di Zerocalcare su Kobane. Insomma, di sorprese e di ampie vedute mi ha parlato spesso la valle e io le accolgo sempre con grande curiosità.
Da lì in poi ho notato sempre più forte certi accenti che non vengono mai né urlati né messi troppo in bella mostra: accenti di fermenti teatrali, di modi di vivere la comunità in maniera larga e collettiva, di appartenenza e partecipazione, di attività mirate al multiculturalismo positivo.
Così, cinque anni dopo il mio arrivo, non mi meraviglio molto dell’accoglienza calorosa che la cittadina di Almese ha dato sabato 24 novembre al comico napoletano Giobbe Covatta.
Il Teatro Magnetto di Almese era gremito per Giobbe e il suo spettacolo intitolato La Divina Commediola, organizzato dall’associazione Camaleontika.
Racconta il comico napoletano di aver ritrovato in discarica una versione dell’inferno dantesco di tale Ciro Alighieri, narrando del suo passaggio attraverso l’Ade. L’inferno in questo caso non sarà quello dei peccatori, bensì quello delle vittime, in questo caso i bambini. Covatta infatti si basa sui temi della Carta dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per parlarci delle problematiche che colpiscono la fascia di popolazione più debole e inerme, soprattutto nel terzo mondo: i peccatori se ne stanno di fatto liberi, a fare proclami politici, ad abusare del loro potere, a girare la testa dall’altra parte, mentre le vittime soffrono per mancanza di opportunità, per la violenza e le condizioni di estrema povertà in cui vivono, per le mancanze nel diritto allo studio, all’assistenza sanitaria, alla felicità, a cui tutti i bambini dovrebbero avere accesso senza condizioni o distinguo di razza, religione, provenienza e appartenenza economica.
I temi trattati dal commediante sono quindi molto seri, ma stemperati da aneddoti esilaranti sui suoi viaggi in Africa, sulle sue origini napoletane, sulla sua visione tragicomica riguardo alla situazione attuale che subito rapisce il pubblico. Il grande scroscio di applausi arriva definitivo al disegno del cervello di Trump sotto forma di organo sessuale maschile; la comicità goliardica e scanzonata si rivela necessaria e utile per accompagnare questi discorsi delicati; come un insegnante, Giobbe chiama i problemi col suo vero nome per attirare l’attenzione e produrre conoscenza, ma soprattutto consapevolezza nel pubblico, che apprezza i toni e il ritmo dello spettacolo, e infine chiudere con stoccate incredibilmente brillanti.
Andrebbero richieste più manifestazioni come questa, che informino, divertano e parlino di diversità in ogni ambito del nostro paese, ce n’è davvero bisogno. Perché un napoletano in Val di Susa, una siculo-colombiana in Val di Susa, u’nivuru e u’cinisi a Palermo, tutto insieme è un caos bellissimo.
[Immagini di Valeria Fioranti cortesia di Camaleontika]