Contro il bullo (dentro e fuori di me)
Sono tempi strani questi.
Fin da piccoli siamo stati bombardati dalle classiche storie a lieto fine nelle quali si contrapponevano due forze, una buona e una cattiva: Atréju e il vuoto, Marty McFly e Biff, Jem e le Holograms contro le Misfits, insomma siamo sempre stati martellati con questa cosa che i buoni vincono sempre e i cattivi sono cattivi irrecuperabili, arabi o russi, coi denti storti, una voce robotica e pettinature orrende.
Poi però si cresce e si inizia a percepire fin da giovani che la faccenda è molto più complicata di così. Innanzitutto si passa attraverso il liceo che è una palestra psicologica a prova di ogni sensibilità. Ci sono quelli che inevitabilmente si sentono più forti e devono sopraffare quelli che invece spesso sono diversi, originali o tendenzialmente soltanto più deboli, c’è la dinamica del gruppo da scoprire e da imparare a gestire per non venire risucchiati, bisogna passare dalla sperimentazione sociale per imparare a definirci, non si scappa.
Oggi da adulti, si spera ormai consapevoli e forti, abbiamo visto come il bullo stia avendo un processo di normalizzazione e anzi viva in un’epoca dorata: viene scelto come presidente, acclamato come influencer, applaudito come commentatore, apprezzato come giudice. Ai discorsi di laurea di questi giorni i grandi oratori dovrebbero essere abbastanza sinceri da dirci: siate sarcastici, senz’anima, irrequieti, logorroici, ambigui, ma soprattutto stronzi. Trionferete.
Per dirla con Michele Serra, come si fa a spegnere lo stronzo che è in noi?
Bisogna provare soltanto a dire una frase riguardante il semplice gesto di essere delle persone buone, di voler fare la cosa giusta, esprimere un’opinione con tono pacato, ammettere una nostra qualunque debolezza a voce alta o ancora voler essere fieramente diversi dagli altri; non se ne esce benissimo, in nessuno di questi casi. Si è buonisti, deboli, freak, femminucce, piagnoni, insomma da dove la si guardi, scatenerete l’esercito delle dodici scimmie su di voi.
Non penso però che, lungo la nostra intera vita, non rivestiamo i panni una volta dell’uno una volta dell’altro. C’è quando siamo vittime e quando invece siamo noi a sopraffare qualcuno in difficoltà, anche involontariamente; c’è questa zona grigia e va bene così perché non siamo piatti protagonisti di un telefilm, ma persone con questo carico infinito di emozioni, di memoria e di esperienze.
Come si fa però a chiedere scusa nel momento giusto, a non rispondere ad un’offesa, abbassare i toni, a intervenire di fronte ad un’ingiustizia? Perché se è vero che siamo essere complessi, è vero anche che siamo dotati di volontà e raziocinio. Possiamo pensare, dunque correggere un comportamento sbagliato. Per dirla con Michele Serra, come si fa a spegnere lo stronzo che è in noi?
Perché di questi tempi dovremmo fare i conti con la necessità impellente di spegnerlo il maggior tempo possibile. Limitare i danni. Perché ce ne sono troppi in giro, perché ormai siamo stanchi dall’energia, sprecata direi, che ci vuole per mantenere questa corazza di forza, di cinismo, di scaramanzia,di prevaricazione, di irrazionalità.
Il bullo più pericoloso, è dentro di noi e ci fa rimanere in silenzio quando siamo di fronte a un’ingiustizia.
Un bullo non è soltanto l’individuo che ci sorpassa a una rotatoria con la moto, accecato dalla rabbia perché avete osato sorpassarlo prima, affianca la macchina e fa il dito medio, noncurante della presenza di bambini nel mezzo.
Una bulla non è soltanto la cassiera di un supermercato che si permette di chiamare un signore anziano, bel giovane, prenderlo in giro e deriderlo mentre si capisce da lontano un miglio che probabilmente è vedovo o divorziato da poco ed è si e no la prima volta che fa la spesa da solo ed è in incredibile difficoltà.
Un bullo non è soltanto un professore che chiama la sua allieva con un nomignolo denigratorio dicendole che dovrebbe stare a lavorare al call-center e ritirarsi dalla facoltà perché studiare non è per tutti.
Una bulla non è soltanto un’impiegata che tratta con disprezzo chi ha sotto la sua responsabilità, approfittandosi della sua posizione.
Un bullo non è soltanto un ministro che usa il suo potere per linciare e offendere pubblicamente le persone in un gioco-forza che è sempre a suo favore.
Il bullo più pericoloso, è dentro di noi e ci fa rimanere in silenzio quando siamo di fronte a un’ingiustizia.
Ci fa invidiare chiunque abbia qualcosa in più di noi, perché, chissà come si è fatto i soldi, il lavoro, la casa, ecc. ecc.
Ci fa pensare che essere depressi o sentirci smarriti a questo mondo sia segno di debolezza e vergogna.
Ci ancora a terra nei nostri sogni più appassionati e folli, impedendoci di essere chi vogliamo veramente.
Ci fa pensare che sia migliore questo passivo stato delle cose piuttosto che il cambiamento di cui abbiamo veramente bisogno, per crescere.
Ci fa giudicare gli altri e noi stessi senza compassione.
Negli Stati Uniti, posto dove i bulli e gli stronzi non vanno solo fermati ma vivaddio, disarmati!, ci sono cinque ragazzi gay (in un docu-reality su Netflix chiamato Queer Eye) in giro attraverso le cittadine più profonde della Georgia, per fare dei trattamenti di make-over (ovvero si potrebbe dire, di rinnovamento personale) su dei bifolchi senza speranza, non soltanto a livello di vestiti e aspetto esteriore ma soprattutto di atteggiamento nei confronti della vita. Arrivano sempre che vengono guardati come extraterrestri dalle persone del luogo e con diffidenza dal soggetto in questione, per poi andarsene avendo convinto tutti che essere delle persone migliori, non solo non è complicato ma auspicabile, necessario, vitale! E non so se sarà vera questa favola queer, ma in ogni caso sarebbe interessante provare a farlo: per tutti quelli che ci stanno attorno, per i bambini che copiano ogni nostro movimento, per la serenità generale che ne deriva nella nostra vita. Perché proprio in funzione di questa mobilità tra l’essere vittima e carnefice ci potremmo ritrovare un giorno in difficoltà nel dover fronteggiare uno che fondamentalmente è più stronzo di noi. Alcuni lo chiamano karma.