Era una notte buia e tempestosa
Era una notte buia e tempestosa quella di due settimane fa. Ma quanto tremenda fosse realmente il mondo non lo ha potuto comprendere subito.
Per vedere, per capire, oggi sono salita verso i monti dell’Agordino.
Nella notte tempestosa erano stati interessati da un cataclisma, giunto peraltro dopo un incendio quasi indomabile durato giorni, alimentato da un terribile vento caldo, che aveva devastato le cime, lambito i paesi, impaurito la gente. Le spaventose fiammate rosse, visibili di notte come quelle dell’inferno, avevano impensierito tutti e si invocava la pioggia perché le facesse cessare.
E infatti la pioggia è arrivata. Ma non si è accontentata di spegnere il fuoco. La pioggia voleva la sua parte da protagonista e quella notte ha infuriato incessante più o meno come ai tempi di Noè.
Il vento? Bè, quello non era veramente andato via. Ha aspettato il suo momento e si è messo sottobraccio alla pioggia, procedendo di gran carriera a quasi duecento chilometri all’ora, suonando la batteria di un temporale assordante per darci un anticipo di quello che sarà probabilmente la fine del mondo.
Una notte da incubo per tutti, dai valligiani ai montanari. Una notte buia e tempestosa, sì, come dice il buon Snoopy seduto davanti alla sua macchina da scrivere. Ma non bastano le parole a rendere l’idea. Occorre toccare con mano quello che è restato per cercare di immaginare l’orrore.
Poco distante da casa mia, appena ottocento metri, ci sono ancora i resti di un edificio portato via dal fiume Cordevole, il principale affluente del Piave, che con un’onda di piena ha scavalcato un ponte ed eroso la strada. Tutto crollato. Sbriciolato. La forza del fiume, alimentata dall’apertura controllata delle dighe a monte per evitare disastri peggiori, è stata inarrestabile e potente. Così vicino a casa mia, mentre ne ero del tutto inconsapevole. I luoghi delle mie passeggiate in bicicletta stravolti, irriconoscibili.
La conseguenza è che ora tutti quei soldatini verdi sono rasi al suolo, tutti secondo lo stesso verso, come se una mano li avesse accarezzati con un pettine un po’ stretto.
Procedendo verso nord si intravedono subito i primi giganti verdi abbattuti. Moltissimi sono ancora là, ripuliti quanto basta per liberare il passaggio sulla strada. Il resto verrà completato appena possibile. Perché sì, chi è ferito a morte mica bada a dove cade. E quindi si precipita sulle strade, sui tralicci della corrente, nei corsi d’acqua, sulle case. Il vento, promosso a uragano, si era messo d’impegno senza badare a spese. Le prime vittime sono loro: questi grandi fratelli eretti verso il cielo, che colorano i boschi e si accontentano di poco, hanno la testa fra le nuvole e i piedi leggeri, senza radici che tengano.
La conseguenza è che ora tutti quei soldatini verdi sono rasi al suolo, tutti secondo lo stesso verso, come se una mano li avesse accarezzati con un pettine un po’ stretto. Il passaggio del vento è segnato da quei poveri martiri accatastati ovunque. E già ti manca il fiato e pensi a cosa deve essere stata quella notte per gli abitanti del bosco.
Tronchi morti sono nel greto del fiume, partiti da chissà dove, trascinati dalla furia dell’acqua fino a valle. Nel loro viaggio impazzito alla deriva hanno ostruito ponti e provocato tracimazioni, arenandosi esausti alla rinfusa, in mezzo a detriti che sembrano montagne fatte a pezzi. E così è stato, in effetti.
La montagna erosa da corsi d’acqua si è sbriciolata, ha eruttato sabbia, sassi e massi, oltre che l’acqua stessa in quantità incredibili. Fontane e cascate sgorgavano dai fianchi delle montagne con la potenza ingovernabile che solo l’acqua possiede in natura. Si capisce che è venuto giù di tutto, in quella notte. Ma che miracolo è stato che non ci siano state decine di vittime umane!
Le strade in alcuni punti presentano delle voragini. I tetti sono stati scoperchiati dal vento che non mollava, testardo, la sua parte da leone. Il buio totale, la mancanza di corrente, i cellulari che non funzionano, come i riscaldamenti. Il rischio che un masso o un abete rotolino sulla tua casa o ti travolgano, mentre il fango questo sfizio se l’è proprio tolto, invadendo cantine e scantinati o anche qualche piano terra. Per qualcuno, pochi grazie al Cielo, è stata Samarcanda, sotto forma di una pianta che avrebbe dovuto sfidare il cielo e invece ti rovina addosso. O di un torrente di norma tranquillo che ti afferra e trascina lontano.
Una immensa onda marrone, una cifra da paura. Vederli così da vicino mi fa sanguinare il cuore.
Tutto questo lo vedi e lo capisci anche oggi, a distanza di due settimane. Perché i danni sono stati immensi: paesi isolati per giorni dalle frane e dall’assenza di comunicazioni, famiglie separate da valle a monte senza possibilità di rassicurazioni. Ci voleva una furia di questa portata per farci capire quanto possa essere inutile la tecnologia. Procedo e arrivo ad Alleghe. Le dighe non sono ancora state chiuse, ma ci sono punti in cui l’acqua è rientrata lasciando un mare di detriti e tronchi morti e fango che manco la piena del Nilo. E infatti in alcune zone la poltiglia circonda i fianchi del lago come una cintura. Per fortuna cigni e germani sono rimasti e continuano a nuotare pacifici nelle acque più tranquille, che del loro bel colore verde oggi non hanno più nulla.
Ovunque gli alberi caduti testimoniano con la loro morte la violenza della tempesta. Sono forse il simbolo della tragedia, ai telegiornali si parla di 14 milioni di piante abbattute, tutti li abbiamo visti trascinati nel Piave fino al mare. Una immensa onda marrone, una cifra da paura. Vederli così da vicino mi fa sanguinare il cuore. Tuttavia il cuore si allarga nel vedere ancora tante delle persone giunte in soccorso al lavoro anche oggi che è domenica. Vigili del Fuoco che salgono sulle gru per rimuovere tronchi pericolanti e tetti divelti, uomini della Protezione Civile che danno una mano e fanno la guardia al livello dei fiumi, il gestore dell’energia elettrica, tramite i suoi tecnici, che si preoccupa in fretta di ripristinare ovunque la corrente così indispensabile, purtroppo, ai giorni nostri.
La normalità non è ancora tornata in queste zone, le frane incombono, le strade sono ancora pericolose e percorribili a tratti a senso alternato, l’acqua da bere è stata a lungo non potabile e in certi paesi l’acquedotto stesso è distrutto. E oggi continua a piovere, tanto per rendere le cose ancora difficili. Tuttavia si cerca di fare il possibile perché le ferite si rimargino e si riprenda a vivere senza disagi e senza paura. Non proseguo nel mio giro esplorativo, mi fermo qui: non voglio disturbare chi lavora senza sosta per la comunità. Era una notte buia e tempestosa, quella di due settimane fa, e l’orrore infuriava come poche altre volte.