Benvenuta Lady Cozza!
Lady Cozza è arrivata in un caldo pomeriggio di luglio. Non che la faccenda fosse inattesa, tutt’altro, che il reparto pannolini del supermercato avrebbe avuto tutto un altro charme, che le notti sarebbero durate molto più a lungo perché, si sa, se la notte la passi in bianco con un neonato che urla può durare anche dieci anni.
Insomma noi nella teoria queste cose le sapevamo tutte. Sapevamo pure che a un certo punto l’ospedale ci avrebbe buttato fuori con il nostro fagottello di neonata e ci avrebbe salutato con la manina dicendoci “sbrigatevela da soli, ciao.”
Noi ci sentivamo a posto, almeno con la teoria.
Lady Cozza però è arrivata con qualche settimana di anticipo, scombinando i nostri piani. È arrivata perché un bel giorno io, camminando in giro per casa, mi ero convinta di essere diventata incontinente.
“Ci puoi credere? Mi sto facendo la pipì sotto da oggi…”
Ho detto con tutta la naturalezza del mondo a mio marito.
“Incontinente?”
“Eh sì.”
Silenzio.
“Sei al nono mese di gravidanza…non è che si sono rotte le acque?”
“Ma vaaaaa! Ma ti pare? Ho visto mille film…le acque, quando si rompono, le riconosci. Io sto diventando incontinente, come le signore della pubblicità.”
Insomma, a distanza di tempo ancora mi sorprendo di due cose: di quanto io possa essere deficiente e di quanto la filmografia hollywoodiana sia fuorviante.
Perché, se stai al nono mese di gravidanza e ti sembra di fare pipì da sei ore continuative, quasi certamente non è ora di comprare i Tena Lady ma è ora di andare di corsa in ospedale. E no, la rottura delle acque non è come la cascata del Niagara. Non sempre almeno. E comunque non lo è stato nel mio caso.
Ad ogni modo, io in ospedale ci sono andata con tutta calma e solo perché mio marito mi stava facendo una testa così. Perché ti pare che io, al nono mese, sto per partorire? Ma che idee. Io come minimo ho i tempi di gestazione di un elefante e mia figlia sta bene lì dove sta. Mica qui fuori.
“Sa dottore, sto avendo perdite da sei ore. Io l’ho detto a mio marito che non è nulla ma lui insiste. Quanto siete esagerati vuoi uomini.”
Silenzio.
“No? Non siete esagerati?”
“Scusi ma lei è matta che viene solo ora?”
E così in un caldo pomeriggio di luglio ho scoperto che ci vuole un niente che si passa dall’ “accidenti, sto diventando incontinente” all’ “accidenti, sto diventando madre”.
Sono stata portata in una stanza e hanno monitorato come stesse la pupa. Appurato che stava in gran forma, mi hanno attaccato a una cifra di flebo. E visto che non mi trovavo in Italia ma in Turchia, non ho mai capito cosa ci avessero buttato dentro.
Mi sono fatta un comodo travaglio di ventisei ore perché è vero che le acque si erano rotte ma è altrettanto vero che Lady Cozza non ci pensava proprio a uscire fuori. Esattamente come dicevo io. Quindi alla fine avevo ragione.
Ventisei ore di travaglio possono essere faticose.
E ci sono diverse ragioni per cui lo sono: l’emozione infinita di sapere che il tuo piccolo essere umano sta approdando sulla Terra; la paura infinita di sapere che il tuo piccolo essere umano sta approdando sulla Terra; lo stupore dato dal costante camminare avanti e indietro di tuo marito che se cammina un altro po’ si becca una scarpata in fronte dalla partoriente perché sto travagliando io, mica tu.
Ah sì, e l’ossitocina. Quella maledetta ossitocina che serve a farti venire le contrazioni perché certo, bella l’attesa, ma a un certo punto bisognerà pure che questa bambina venga al mondo.
In ventisei ore di ossitocina, di contrazioni, di camminatine di mio marito e di controlli del medico, non si è smosso nulla. Per cui, visto che ormai le acque si erano prosciugate, mi hanno portato in sala operatoria per un cesareo.
Mi hanno bucherellato con altri aghi, mi hanno messo una cuffietta in testa per rendermi ancora più impresentabile, mi hanno fatto la sorpresa di farmi trovare mio marito in versione Stanis La Rochelle in sala parto.
Il cesareo è una cosa strana. Ti anestetizzano ma in realtà senti che qualcuno sta trafficando con te. Senti che le tue frattaglie vengono un po’ smosse ma la cosa bella è che non te ne frega niente.
L’ anestesista ti dice alcune cose ma non te ne frega niente.
Tuo marito ti stringe la mano e di quello sì, ti frega.
Poi a un certo punto senti il medico che ti dice “Fai attenzione, perché tra un minuto ti arriva un bel regalo”.
E tu stai lì, che trattieni il fiato. Che non fai più caso nemmeno al fastidio di quelle mani che stanno invadendo il tuo corpo. Trattieni il fiato per un minuto che sembra lungo una vita.
Trattieni il fiato. Lo trattieni fortissimo. Guardi tuo marito e lo sai che lo sta trattenendo anche lui. Vi guardate e in quello sguardo c’è tutta la potenza di un amore che diventa vita. E mentre vi guardate, la senti. La senti urlare, senti che la vita è arrivata come una tempesta che spazza via tutto quello che c’era prima per creare qualcosa di nuovo. Di diverso. Di unico.
E mentre la senti, non senti altro.
E quando te la poggiano addosso, piccola e fortissima, ti rendi conto che il tuo universo si è fermato alle 15.40 di un afoso pomeriggio di luglio.