E la chiamano estate
Aveva stirato le gambe, si era osservata da sotto le lenti scure, idratare, idratare era la parola magica. Il corpo ha bisogno di dissetarsi, di essere ascoltato e amato.
Con metodo e con noia aveva distribuito crema solare sulle cosce, sulle ginocchia e giù fino alle caviglie, infine aveva asciugato le mani sul telo umido, odiava la sensazione di unto.
Il mare era una striscia blu piena di arrogante bellezza, le imbarcazioni ne delineavano il confine.
Quell’estate era andata bene era andata male. E chi poteva dirlo?
Il giallo dell’ombrellone filtrava la luce del sole, tratteneva le parole dei corpi allungati in una apparente immobilità. Sei felice?
Che domanda stupida, aveva pensato.
Dovrei?
E la chiamano estate… e pensare che chi scrive di infelicità se ne lascia risucchiare. L’estate, un vortice, un occhio cieco in cui restare intrappolati.
La musica aveva smesso, sul finire della stagione mettevano soltanto brani di epoche preistoriche. ” E la chiamano estate questa estate senza te…”
Non ero neppure nata.
Bugiarda! Questa storia non se la beve nessuno.
La conosceva a memoria, cantava a labbra strette, che sciocca per alcune frasi si commuoveva pure.
Stai diventando vecchia e nostalgica.
Solo vecchia. Dove vai? Faccio un bagno…
Dove vai? Faccio un bagno.
Sdraiato vicino a lei, si era concesso al sole senza paura, senza protezione, con quel sorriso che la spacconeria della gioventù stampa sul volto. Incurante, indolente, maledettamente attraente.
È bello, giovane, se ne andrà come questa stagione capricciosa. Poco male.
Che stupida, adesso la crema scivolerà via, non si può bluffare con il proprio corpo.
L’acqua si era intorbidita , il cuore aveva aumentato i battiti, nuotare la aiutava a sentire che l’unica libertà possibile era rimanere da soli.
…Il profumo del mare non lo sento, non c’è più…