La bellezza collaterale del dolore
Nessuno vuole un cuore rotto, eppure ciò che sentiamo attraverso i cocci di un cuore maltrattato non lo sentiamo quando siamo felici. La felicità ci assorbe, offusca i sensi, ci rende insensibili al dolore altrui, protetti da una bolla che filtra i pericoli.
Questo non succede con il dolore e con la nostalgia che ci lasciano completamente esposti sulla banchina di un mondo un po’ meno roseo. Eppure, eppure, tutto questo dolore ci apre, crea dei piccoli fori dai quali lasciamo entrare saggezza, storie, empatia. Il dolore chiama il dolore altrui, la felicità non chiama nulla che sia di un altro. La vogliamo custodire gelosamente, la acchiappiamo avidamente stando attenti a non mostrarla troppo. Abbiamo paura che la felicità scappi e così finiamo per rovinarla da soli. Del dolore, invece, non abbiamo paura che fugga via.
Più lo combattiamo e più la macchia si espande, marchiando per sempre i tessuti del nostro cuore malandato. Il dolore ci vuole immobili, pronti a riceverlo, come l’ostia sull’altare.
“Non ti muovere, accoglimi e ti farò vedere strazianti sfumature che non sapevi vedere quando era tutto bianco e rosa”. Ed è così.
Anche il dolore più addormentato, quello che sonnecchia e si proclama innocuo, anche lui si manifesta improvviso. Lo leggo nelle pagine di un libro, nelle note di una canzone troppo lenta, troppo seria. Lo ascolto nelle storie di chi si lascia e si riprende, di chi ama o smette di amare. Nei gesti di chi sa che l’amore si trasforma e porta il lutto di ciò che fu e mai sarà.
Quella goccia di sano veleno che è il dolore mi fa tendere la mano a chi piange e non sa più il perché, a chi guarda indietro e pensa che aveva tutto, a chi guarda avanti e non vede più niente. Sono la figlia illegittima di questo dolore che non mi dà pace, proprio perché non solo mio. Lo sento strisciare subdolo nelle conversazioni allegre di chi finge che la sua realtà sia tutta in quelle parole, in quella innaturale intonazione delle frasi, in quel picco falsamente allegro. Respiro quel dolore che mi nasconde e sono grata per questo fardello.
La sensibilità è un castigo e nasce da chi è naturalmente predisposto al dolore, da chi non lo scaccia più. Io ho smesso di combatterlo, lascio che mi mostri la bellezza collaterale, quella che si intuisce solo quando la vista non è più offuscata.
E va bene così. In un mondo che scaccia il dolore, va bene anche saperlo accogliere, farci pace e tenerlo per mano, come una vecchia costante.