La luna di giorno
Negli ultimi tempi non sto più molto attento alle cose che mi capitano. Le cose mi capitano e basta, e così vado avanti. Sono parecchio distratto dalla vita e questa attitudine a lasciare che le cose accadano senza pensarci su tanto mi appare del tutto meravigliosa.
Se non che la vita è sempre pronta a spiazzarti con i suoi tratti lunatici che si manifestano anche in pieno giorno.
Pochi giorni fa per esempio ho notato che la luna mi guardava.
Stavo risalendo il tratto ripido di un sentiero di montagna con mia figlia sulle spalle. Mi sono fermato un attimo, ho messo giù il mio gentile carico, le ho indicato il cielo. Lei ha sollevato il naso in su e dopo due secondi netti stava già facendo altro.
Io, invece, mi sono chiesto perché alle undici del mattino la luna non fosse ancora andata a nanna.
Capita, a volte, che la luna sia lunatica mi sono detto. Ma quello sguardo fisso su di me mi ha messo un poco in imbarazzo.
Questo piccolo avvenimento astronomico esistenziale mi ha fatto meditare su quanto spesso perdiamo il filo della nostra storia, per il fatto di non notare mai la straordinarietà della nostra storia.
Il fatto che da molto tempo la nostra spina dorsale sia sottoposta a sollevamenti inauditi non ci giustifica per nulla. I bimbi sono messi al mondo per essere tenuti in alto, tra le braccia dei genitori. Per essere messi al centro dei loro pensieri e per risucchiare le midolla della loro anima. Hanno bisogno di essere generati in un modo che spezza le reni e che prosciuga per bene ogni angolo di spirito voglia ancora trattenersi almeno per un attimo tra le viscere e la corteccia cerebrale. E uno spirito prosciugato non ha proprio tanta voglia di mettersi a fare lo spiritoso con riflessioni estemporanee sulla vita, ve lo assicuro.
Piuttosto si innesca la seguente dinamica: lo spirito rimane lì, un attimo perplesso, cercando di testimoniare a se stesso che c’è ancora della vita umana sparsa qua e là nelle pieghe nascoste del nostro corpo e poi, dico subito dopo, senza tergiversare oltre va a consegnarsi alle anime dei nostri figli. Ed è carezza, rimprovero, sguardo, regola, bacio, consiglio, risposta. È cura, in ogni senso del termine. Preoccupazione e accudimento. È, insomma, qualsiasi cosa indirizziamo loro. Anche quello che non vorremmo indirizzare.
Il far crescere uomini è lottare disperatamente contro l’entropia, nutrendo speranza e sorrisi. Questo sporco lavoro qualcuno lo deve pur fare, si dice lo spirito. Perciò raccoglie energie, le concentra e le scarica in un solo punto archimedeo, l’anima dei bambini, sperando che tutto il resto si sollevi da solo come appoggiato su una magica leva.
Ora, dopo l’episodio della luna mattutina, insistentemente ho ricominciato a farmi osservare dal cielo. Ne è venuto fuori che non ho bisogno dello psicologo, almeno per il momento.
E poi ancora un’altra cosa che mi è sembrata curiosa.
Quest’anno la fine dell’estate non mi toglierà il buon umore.
Il tessuto del cielo negli ultimi giorni si è fatto presente, prossimo al mio cuore al punto che non potrò dimenticarlo. Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno sono lì, vicini. L’ho fatto notare a tutti quelli che ho potuto. Grandi, luminosi, occhiuti, guardano da sopra la linea dell’orizzonte con un’intensità placida, una sorniona maestosità che non ricordo di avere mai visto in tutta la mia vita.
La schiena scricchiola, ma la luna è a due passi e trascina le maree. Fa crescere addirittura, tra due pezzi di granito, un filo d’erba in compagnia delle sue foglie.
L’intero sistema solare si è stretto attorno a noi. Ho l’impressione forte che l’universo voglia dirci qualcosa, ma forse mi sbaglio. A ferragosto il cielo è del tutto incoerente con se stesso. Potrebbe essere che abbia solo voglia di farmi uno scherzo. Nuvole arrotolate sul mare si spiegano a forza di scrosci di pioggia. Allora leggo in parallelo La strada di Cormac McCarthy e Tre uomini in barca di Jerome Klapka Jerome. Due modi di viaggiare dentro la vita reciprocamente incompatibili. E anche così, seguendo questi mondi paralleli e fra loro opposti, mi sembra che i punti di sutura siano stati tirati per benino, fino a trascinare in alto il tessuto terrestre o stendendo verso il basso il mantello trasparente, infinito del cielo. Vedo questa unità che gioca a nascondino, dappertutto.
Torniamo al punto d’origine. La cucitura che stringe due stoffe diverse in un disegno, il vento che trascina piano le persiane richiudendole, la penombra che si forma, il sorriso che si apre.
Ridiamo, brindiamo alla salute, alla gioia. Abbiamo da augurarci già molto di meno. Ma si punta sempre l’obiettivo alto prima di scagliare frecce.
Tutto torna alla meraviglia. Qualcosa di molto importante ancora continua a non tornare. Non tutti i conti tornano.
Si tratta di cantare non di contare, ci diciamo, in primo luogo; allora l’ha capita bene quel tale che alla luna ha detto canto su di te, conta su di me.
Imparo che la luna di giorno sta nel mezzo dell’azzurro, come lacrima granulosa, sbalzata in madreperla di conchiglia. Cammeo antico di questo minuscolo spicchio d’universo.
Ritorno a scrivere anche se a fatica, bevo le mie birre.
Sto in equilibrio sulle nocche delle dita, a un passo da precipizi di cui conosco a malapena la geografia di superficie.
Mi rimane intrappolato dentro, in uno spazio metafisico, il solito tanto pianto che non so che farmene. Aspetto che qualcuno, prima o poi, come vuoto a rendere, lo venga a ritirare e lo ricicli per benino in nuvola d’agosto.
Intanto riprendo sulle spalle il mio gentile carico. Si riparte sempre, mi vado ripetendo, ed il sentiero monta su per ridiscendere.
(Immagini da Internet)