Le vite degli altri
Immaginare mi è sempre riuscito facile. Una volta la mia insegnante di italiano del liceo mi disse che era più facile immaginare per chi non fosse contento della propria realtà, per chi avesse voluto di più. Quell’affermazione mi aprì gli occhi. Io volevo di più, ma non volevo essere infelice.
Immaginavo le situazioni migliori di come fossero nella realtà, ne smussavo gli spigoli, inventavo dialoghi. Non volevo che la vita vera mi spaventasse e così ero pronta a crearne una versione personalizzata da cui correre ogni volta che volessi.
Gli anni sono passati, l’immaginazione si è ridimensionata e un leggero cinismo ogni tanto mi ha fatta sentire un po’ amara, leggermente disillusa. Io, che avevo giurato di non esserlo mai e avevo guardato quasi con compassione chi mi sembrava così, truce perché svuotato.
Nel momento stesso in cui ho realizzato il pericolo, la paura di diventare adulta e disincantata, insensibile e con dei sogni a metà, ho iniziato a reindirizzare quest’immaginazione.
È stato così che ho iniziato a vedere le vite degli altri nella mia testa. Anche se non ce ne rendiamo conto, perdiamo continuamente frammenti di noi durante le nostre chiacchiere quotidiane.
Al bar, mentre nominiamo distrattamente nostro figlio e ricordiamo che non voleva alzarsi dal letto.
In ufficio, mentre giocherelliamo con la fede e rispondiamo a domande su grafici e numeri.
In palestra, mentre riveliamo il nostro colore preferito, che è proprio il colore delle scarpette.
Ad un conoscente, mentre squilla il cellulare e ci sentiamo in dovere di dare qualche spiegazione, qualche nome.
In un qualsiasi negozio, mentre scegliamo un regalo e descriviamo luoghi e persone, disegnando una personalità che speriamo combaci con ciò che abbiamo appena comprato.
Su un social network, mentre condividiamo altri pezzi di una quotidianità che pensiamo appartenga solo a noi, dimenticandoci delle impronte disseminate tutto intorno.
A me piace guardare quelle impronte, cerco di scorgerle negli estranei, nelle prime conversazioni, nei titoli delle loro letture sul treno. Cerco di delineare le loro storie e colmo le mie lacune con la fantasia.
La mia insegnante aveva ragione, voglio di più. E quando non ne so di più, mi piace immaginarlo. Per rendere tutti più umani, per trovare un motivo per non aver paura, soggezione, vergogna di questo o quell’uomo che mi parlano risoluti durante una qualsiasi riunione di lavoro.
Immagino perché preferisco avere tutto lo spazio della mente occupato, così l’indifferenza ci starà sempre troppo stretta.