Sigarette e mongolfiere sopra Berlino
Non ci ho mai creduto a quella storia secondo cui a ogni nazione corrispondono differenti sigarette. Un attimo, mi spiego meglio. Dicono, e pare essere vero, che una stessa marca di bionde opti per miscele diverse a seconda dello Stato nel quale saranno commerciate. Questo per andare incontro ai gusti del pubblico fumante. Io però non ci credo. O, meglio: non me ne accorgo. Non ho la bocca fine. Non ce l’ho nel bere e nemmeno nel mangiare. Figuriamoci nel fumare. Una volta un mio amico mi disse: prova queste. Lui posava il sedere su un campo da calcio sterrato di periferia, io sopra un pallone. Avevo già una sigaretta in bocca e rimasi un po’ sul che fare. Avvicinai e allontanai la mia sigaretta un paio di volte, poi la portai sotto il sedere e sentivo il fumo caldo risalirmi la mano e il polso. Con il pollice e l’indice dell’altra mano presi la sua sigaretta e aspirai. Buona, dissi. Vero? rispose lui. E così dicendo riprese la sigaretta e se la portò alla bocca. Due aspirate consecutive. Il fumo verso il cielo, lo sguardo fiero. Io non ci avevo sentito nulla di differente. Ma io ero alquanto giovane e lui lo era meno di me, così non dissi nulla. La mia sigaretta nel frattempo aveva un centimetro di cenere sulla punta. Il campo da calcio era pieno di buche, le porte erano due trapezi. Una mongolfiera solcava la noia di un cielo padano. Forse quel cielo avrebbe pianto umidità, verso sera. Forse avrei cambiato marca di sigarette, il giorno seguente.
Anche a Berlino c’era una mongolfiera. Tutto il giorno se ne stava lassù, dove non c’è est e non c’è ovest. Il cielo, però, era più divertente di quello padano. Le sigarette tedesche, come detto, sono uguali a quelle italiane. Solo che le scritte sono in tedesco e quindi fanno più paura. Ecco, la Germania è un posto buono per appendere l’accendino al chiodo. Anzi no, a dire il vero. A Berlino fumano tutti parecchio. Anche nei pub. Questo non è molto tedesco, pensavo. E mi piaceva ci fossero cose non tedesche in Germania, così come mi piace vedere cose poco italiane in Italia e via dicendo. Anch’io volevo partecipare al rito di ribellione all’ordine teutonico e mi portavo un Winston alla bocca. Poi però provavo vergogna, l’appoggiavo sul bancone e la facevo rotolare avanti e indietro con l’indice. Forse perché la consideravo una cosa loro, come i crauti, i calzini con i sandali e le semifinali perse, forse perché anni di regime ti portano a provare vergogna nel fare qualcosa che non va fatto. Quando un divieto diviene vergogna, i cartelli e le multe possono andare in pensione. Allora uscivo, appicciavo la bionda e guardavo la mongolfiera.
Era una bella mongolfiera, non c’è che dire. Ne vorrei una così in ogni città. Ecco, magari proprio in tutte no. Però in quelle brutte si. Mettiamo che c’ho una città brutta, di quelle che gli alberghi funzionano solo per le corna e le riunioni dei venditori di aspirapolvere e quando uno chiede cosa mi consigli di vedere ci penso, dico boh tra me e me e alla fine butto lì: la piazza. Ecco, una città così. Ci metti una bella mongolfiera e così la gente guarderà per aria e non si accorgerà che la città è brutta. E forse i bambini ci vorranno anche tornare, se troveranno lo zucchero filato sotto la mongolfiera.
A Berlino ci sono tanti mezzi di trasporto, ma si finisce sempre per camminare a piedi. Si segue il muro e si cammina, si visita Tiegarten e si cammina, si seguono le gambe tornite di qualche bella femmina e si cammina. Anche attraversare quelle strade esageratamente larghe, in fin dei conti, è una bella camminata. Città furba, non ti fa mai arrivare al punto. E tu cammini. A me piace camminare, quindi con Berlino vado d’accordo. Io non voglio mete, lei non me ne offre. Una volta a scuola dovetti subire la domanda più stupida che si possa fare tra quelle quattro mura. La più stupida di tutte: come ti vedi tra dieci anni. Era una Prof che me la porse e io risposi così: Eh. Ma non come si dice “è”, una cosa più gutturale, profonda. Sincera, in definitiva. Guardai sulla mia sinistra. C’era un piccione sul davanzale. Beccava, o forse tubava, non ricordo bene. Ricordo che mi venne una gran voglia di fumare una sigaretta.
Ho visto la mongolfiera sopra ogni quartiere di Berlino. L’ho vista sorvolare tutte le disgrazie che hanno segnato questa città. L’ho vista intrecciarsi con il fumo delle mie sigarette e le striature di quel cielo un po’ padano e un po’ irlandese. Questa città è tutt’uno con i suoi infiniti treni. Accelera, strappa, frena e riparte. Indietro rimane il fragore stridente delle ganasce e l’odore acredulo dell’ossido di ferro. E in fondo è un modo come un altro per non dimenticare.
Poi l’ultimo giorno ero da qualche parte nel quartiere di Kreuzberg e fumavo l’ultima sigaretta pensando che la colonna sonora per tutto ciò non fossero i Kraftwerk, i CCCP o Lou Reed come avevo pensato, bensì China girl nella versione di Iggy Pop. Ero seduto sull’uscio di un’agenzia immobiliare. Di fianco a me un polacco vendeva cianfrusaglie di quello che fu il blocco comunista. Dinnanzi una ringhiera ingombra di bici rubate, noleggiate, bucate, di proprietà. Ho guardato il cielo, ma non ho trovato la mongolfiera. Ho gettato la sigaretta, mi sono alzato e la pianta del piede destro mi doleva molto.
Poi l’ho vista. Era a terra, circondata da un muro. Ma il muro era piccolo e la mongolfiera troppo grande. C’era scritto “Die Welt” e rappresentava il globo terrestre. Avevo l’impressione che avrebbe potuto spiccare il volo da un momento all’altro, se solo lo avesse voluto. Ricordai quella canzone dei Radiohead dove si dice “Potrei andare via attraverso il soffitto / Se solo mi girassi e corressi / E ciò mi infastidisce”. Anche questa canzone va bene a Berlino, ma non sempre. A volte. Sta solamente riposando, mi sono detto. Allora ho sorriso e con l’indice ne ho accarezzato i contorni. Quindi ho bruciato il muro di recinzione con la sigaretta e l’ho lasciata libera di volare sopra Berlino. Sopra se stessa.