L’estate in cui non andremo ai mondiali
Quest’anno le zanzare sono arrivate presto. Mosche e altri minuscoli insetti ancora non pervenuti, ma le zanzare si. L’altro giorno l’ho detto a mia madre. Ero a casa sua, seduto al tavolo della cucina e accarezzavo con il pollice la superficie liscia di un bicchiere. Mi hanno morsicato ovunque, le ho detto. Questa notte, nel mio letto, almeno tre punture. Lei ha levato lo sguardo dal lavandino e lo ha puntato oltre la finestra, senza dire nulla. Sono arrivate presto, ho aggiunto, e intanto ho portato la mano al collo che negli ultimi giorni è assai indolenzito. Non credo, mi ha detto lei. Poi ha chinato di nuovo la testa sul lavandino. Dopo venti secondi ha aggiunto: comunque è estate, oramai.
Ma questa estate che ha da venire sarà una cosa strana. Fa caldo, ma piove. La pelle si inscurisce, ma il sole non fa capolino tra le nuvole. In Russia si giocheranno i mondiali di calcio, ma non frega niente a nessuno. Sono nel parco, mangio quella roba che adesso chiamano schiscetta o una cosa del genere e a me non riesce mai bene. Ci sono quattro ragazzini che sudano dietro un pallone, in attesa che qualcuno li chiami a pranzo. Un telefono emana musica orrenda. Questi giovani hanno una incredibile fame di musica. Noi ascoltavamo meno musica. Ma migliore. Non mi frega un cazzo di quello che dicono sulle barriere generazionali. Trito una galletta di mais e ripeto: la nostra musica era migliore.
Poi si fermano e bevono. Un ragazzino fa: oh, quest’estate ci sono i mondiali. E gli altri non rispondono e io stesso sono preso alla sprovvista. Guardo il telefono e vedo che siamo attorno al dieci maggio. Mancherà un mese o poco più. Eppure non li sento e neppure questi ragazzini li sentono perché già parlano di altro e anzi quella dei mondiali è stata una battuta estemporanea. Come dire che quando arrivo a casa mi farò la doccia. E chi cazzo se ne frega.
Un mondiale senza di noi non è cosa per noi. Pertini è il presidente più amato di sempre, ma cosa di preciso abbia fatto a parte la partita a carte con Bearzot sull’aereo di ritorno da Madrid, pochi lo sanno. Schillaci non ha mai fatto un cazzo come calciatore e manco si è capito perché ai mondiali del 1990 fosse presente, ma sei goals in tre settimane gli sono bastati per l’eternità. Il fascismo ha fatto anche cose buone, tipo farci vincere due mondiali. Un mondiale senza di noi non è proprio cosa per noi. E quindi è meglio non pensarci troppo su.
Che squadre africane ci sono quest’anno ai mondiali? Me lo chiede mentre si accende una sigaretta. Non pensavo nemmeno gli interessasse. Osservo il tabacco ardere e la carta raggrinzirsi attorno al trinciato sotto l’effetto di una intensa boccata. Io preferisco non fumare. A maggio non fumo mai, o solamente quando bevo. Un fioretto nel mese della Madonna, rispondo a chi mi chiede il perché. Loro sorridono e capiscono che non devono andare oltre. Io non lo so che squadre africane ci siano al mondiale. So che c’è il Senegal perché me l’hanno detto dei senegalesi e ridevano ed erano felici e volevano che tifassi per la loro squadra e io gli ho detto sicuramente lo farò e magari un po’ ci tiferò per davvero. So anche che parteciperà l’Egitto perché l’ha detto la radio due giorni fa. Ero in macchina, il finestrino giù, il condizionatore acceso e la schiena levata dal sedile. Ma non c’erano più di ventisei gradi. Il clima della pianura padana gioca alla maniera dei portoghesi: ti fa credere una cosa e ti fotte con un’altra.
In sala d’aspetto ci sono persone che ogni volta vai, loro ci sono. O forse i malati finiscono per essere come gli sposi e si assomigliano un po’ tutti. E come gli sposi finiscono sepolti dalle abitudini: l’orario di cena, il posto nel letto, l’ordine di entrata nel bagno alla sera. Ho un brivido freddo. Faccio un respiro profondo e una smorfia alla signora davanti a me. Lei non è un’abitudinaria e il suo braccio fasciato lo dimostra. Fa caldo, mi dice. E poi aggiunge: di già. Fa caldo, rispondo io. E la signora a fianco si inserisce dicendo che oramai è estate e bisogna farci l’abitudine. Ha in mano una rivista che in copertina promette un inserto sul mondiale. Giusto qualche pagina. Quando ero un ragazzo compravo sempre gli inserti sul mondiale. Per Francia 98 il Guerin sportivo dava un inserto per ogni squadra partecipante, da marzo fino a maggio inoltrato. C’era pure la mascotte che era una ragazza che vestiva la maglietta della nazionale in questione e niente più e io ricordo di aver fatto un torneo tutto mio sopra queste pulzelle. Alla fine non riuscendo a decidermi tra Cile e Olanda avevo lautamente premiato entrambe.
Un’estate difficile. Cosa faremo quando le partite inizieranno? Niente, credo. Qualcosa diremo, non potremo continuare a fare finta di niente. Forse ancora non ci crediamo che sia andata così. Siamo in Italia e alla fine tutto si aggiusta. Facciamo le cose male, ma alla fine le raddrizziamo. Noi o chi per noi. Siamo il paese della provvidenza, se non ci pensiamo noi, c’è pur sempre il buon Dio. Entro fine mese vedrai che scoppia una guerra in Australia (ammesso sia presente) tra surfisti e raccoglitori di kiwi e squalificano la squadra. Teniamoci pronti.
Solo che Provvidenza era anche la barca dei Malavoglia e non fece mica una bella fine. E io vedo la gente abbruttirsi e soprassedere su tutto. Assuefatti dalla mancanza di orizzonte, assuefatti al frastuono che fa notizia, alla musica di merda in discoteche improvvisate, ai libri che non meritano la morte di nessun albero, alla televisione che si barcamena tra l’inguardabile e il faceto, ai selfie in ogni dove e agli hashtag usati a cazzo di cane.
La verità è che è un po’ di tempo che non ci riesce più niente. La verità è che tra un mese inizia il mondiale e noi lo guarderemo ognuno a casa sua, un po’ increduli e tanto abulici. E ricorderemo tutto ciò come l’estate in cui non partecipammo al mondiale. L’estate in cui la provvidenza ci aveva abbandonato.