Una quasi cura letteraria
Silenzio, gesti contemplativi, sguardo attento. Ancora silenzio, cura, odore di carta stampata. Piccoli struggimenti che passano inosservati allo sguardo di un ascoltatore distratto. Senza misura alcuna, ci si lascia soffocare dal potere di lamenti lontani e urla zittite dai caratteri mobili delle pagine. Una torsione dell’animo che, quasi per incanto, emoziona.
Da più di un mese, frequento i corsi per i crediti requisiti d’accesso per il concorso a cattedre e più di una volta, cullata dal treno, ho lasciato che la mente conoscesse una spessa nebbia di domande, che di improvviso sfumano i contorni dei luoghi dell’animo a noi familiari.
In questi strani giorni, il filosofo Umberto Galiberti intravvede il rischio del nichilismo per le giovani generazioni, educate alla performance e alla competenza, ma non all’etica e al riconoscimento della propria e altrui fragilità. Una condizione di ignoranza affettiva che sfocia spesso in atti tragici. Nel frattempo, sono nate in me altre riflessioni e ho letto molti fatti di cronaca. Non basta l’amore per la letteratura, per poter, un giorno, insegnarla, bisogna anche conoscere in che contesto ci si muove.
Sentendomi coinvolta nel passaggio verso il mondo adulto, riconosco che i corsi per l’insegnamento hanno suscitato in me un desiderio di rivalsa, forse fine a sé stesso
D’altra parte, condivido alcuni dei “non so” della mia generazione. Mi prendo il rischio di generalizzare e di aprire un discorso politico e al tempo stesso, lasciare sottesi aspetti psicologici. C’è qualcosa di irrisolto dietro al mio scrivere poesie, come pure nella scrittura di tanti autori giovani, che nelle parole cercano l’afflato dell’autentico? Dietro ai miei piccoli tic per non sprecare il tempo, bilanciati dalla mia disponibilità a chiacchierare? Di solito, in treno, non bado agli affari miei, e mi lascio coinvolgere in riflessioni ampie.
Penso ai giovani che non trovano un lavoro fisso, penso alla lettera di un giovane grafico che si suicidò per questo motivo come pure alla frustrazione di aver scelto un percorso di studi che non dà sbocchi sicuri. Sentendomi coinvolta nel passaggio verso il mondo adulto, riconosco che i corsi per l’insegnamento hanno suscitato in me un desiderio di rivalsa, forse fine a sé stesso, oltre a un basculante bisogno di migliorarmi e di esporre le mie opinioni. A parte questo, mi sono domandata quanta passione ci voglia per insegnare lingua e letteratura inglese e francese.
Mi rispondo che valga ancora la pena di rendere le persone più libere di scegliere come essere, e dunque meno fataliste
Sento che non avrò paura di affrontare i tredicenni, ché sono anni che impartisco lezioni private. E quando mi domando se non abbia lasciato annotazioni troppo personali dentro un romanzo che ho prestato, apprezzo l’ironia delicata che ho riservato a una ragazza che studiava inglese con me senza alcuna passione. Negli anni, ho cercato di non giudicare, di non infliggere un destino per il dialetto, per gli stili cognitivi che usavamo, ma penso anche agli imbarazzi che avrà creato il mio approccio schietto. Confezionare una bugia non è mai stata una mia ambizione. Preparo con gioia le lezioni di inglese, ripassando la differenza fra gli ausiliari, seleziono dal libro i testi che preferisco.
Chiaramente, rifarei tutte quelle lezioni. E in tutta onestà, spero di aver trasmesso un grammo di passione. Quando mi si dice che sono prolissa, sorrido con tutta l’indulgenza che Annie Ernaux si riconosce nei suoi romanzi, trasmettendo bene quanto il passato da figlia di droghieri sia stato motivo di dignità. Quando mi domando che ruolo abbia la scuola in una società sempre più fluida e priva di narrazioni politiche solide, mi rispondo che valga ancora la pena di rendere le persone più libere di scegliere come essere, e dunque meno fataliste. Poi, con una lieve ironia, mi domando se l’amore per le lettere sia stata davvero una scelta, o una necessità che mi ha insegnato a dare uno scopo alle mie giornate, oltreché a il senso del relativo, l’impuro e l’ibridismo.