Che problema avete con la nebbia?
Quando dici loro di provenire da quel lembo di terra coltivata che sta tra le prealpi e gli appennini e per comodità si indica come pianura padana, puoi notare il disinteresse calare sulle loro cornee. Che tu sia di Piacenza o di Rovigo se ne sbattono il cazzo. Ah, esclamano. Poi ti chiedono qualcosa, perché qualcosa va sempre chiesta riguardo al luogo di origine. Di solito buttano lì qualcosa sul lavoro. Nella valle del Po pare ci siano più fabbriche che in Westfalia, a sentir loro. Però la crisi. Eh, già, ma prima della crisi. Si mangia bene, comunque. E poi li vedi tutto a un tratto abbassare lo sguardo e si, si direbbe proprio che quella espressione denota un chè di pietà nei tuoi confronti.
La nebbia.
Chiunque non abbia esperienza con la nebbia è portato a considerarla un’autentica sciagura. Meglio del diluvio universale, ma decisamente peggio dell’invasione delle cavallette. Della nebbia non ti puoi fidare, nasconde tutto e tutti. Anche i malintenzionati. Gli ultracorpi, perché no. Ne ho sentite di ogni sulla nebbia. Che non si può andare al lavoro in auto (gli autisti dei bus devono avere gli ultravioletti). Che i treni arrivano in ritardo (quello perché non c’è più il duce, che c’entra la nebbia). Mi riferiscono pure di una serie americana basata sul fenomeno atmosferico. E posso immaginare che di comico vi sia poco e niente.
Chi non la vive non la può capire. Io la nebbia ce l’ho a Parma, dove vivo, e in Lunigiana, da dove provengo. Nell’ultimo caso è un fenomeno circostritto a due o tre chilometri quadri di fondo valle. Superata la cortina la nebbia scompare. Vieni a fare due passi? Col cazzo, c’è un nebbione. Non dire cazzate, qui c’è il sole.
Se io vi dicessi che la nebbia fa parte di me direste ch’io sia un personaggio triste, lo so. Ma la nebbia ha la consistenza dei sogni, e così dicendo mi sembra di essere un po’ stronzo come il Prospero di Shakespeare. Quando si rimembra un sogno, tuttavia, i colori sono sbiaditi e una coltre incolore sfuoca i dettagli. Il fatto è che la nebbia fondamentalmente è un sogno, un qualcosa che non puoi raggiungere né tastare e rimane equidistante ovunque tu sia.
A differenza dei sogni la nebbia ha un suo odore umido e delicato che tende a mescolarsi con ciò che avvolge e impregnare le narici. La nebbia è donna, di quelle che senti addosso anche se non hai avuto e come la loro mano immagini scorrere sulla pelle così la nebbia ti ha accarezzato le vesti e imperlato il giubbotto di minuscole goccioline senza che tu ne abbia potuto realmente saggiare la consistenza.
E poi si, nella nebbia ci vedi quello che vuoi. Non basta la vista, devi aguzzare la fantasia. Tra un gatto e una lince la nebbia non fa differenza, così come tra una poiana e un condor. Quelle costruzioni là in fondo, oltre la Via Emilia, si dice siano le rovine del castello di Titangel e non certo quelle di un’azienda tessile chiusa tre anni fa. In un mondo che ci ha costretti al voyeurismo dell’HD, la nebbia è una forma di resistenza.
Così, la prossima volta che vi dico da dove provengo e dove abito, lasciate perdere la percentuale occupazionale e la buona tavola. Pensate alla nebbia, ma non abbiate compassione per me. Che io mi svegli a Parma o a Groppoli di Mulazzo, spalancancherò felice le persiane sul nulla. Là fuori, giusto duecento metri da me, c’è il mare di Bretagna e una nave che mi aspetta. E che dire dell’aurora boreale siberiana appena sopra la coltre di nebbia. Certo, guidare incollato ai fendinebbia posteriori dell’auto che mi precede sarà una bella rottura, ma quando ci ricapiterà di essere tutti incolonnati dietro alla monoposto di Nuvolari?
Che sia elogiata la nebbia. Non abbiatene paura. Anzi, portate un po’ di nebbia nella vostra vita.