Gennaio ti fotte sempre
Ce l’ha fatta pure settembre, ma a gennaio non è mai riuscito. Giusto, non potete aver capito quanto stia dicendo. Allora, da tempo immemore ogni fine anno eleggo il mese migliore tra i dodici che hanno sfilato sulla mia pelle. Ho stilato un piccolo albo d’oro dagli anni novanta a questa parte in cui a fare la parte del campione sono luglio e dicembre, ma tutti i mesi sono riusciti almeno una volta a festeggiare la vittoria. Tutti tranne gennaio. Non ce la può fare gennaio. Del resto sarebbe contro natura una sua vittoria.
Il fatto è che cominciare non è mai cosa semplice. Lasciate perdere le minchiate del tipo “buoni propositi”, tanto al primo imprevisto la vostra bella listarella andrà a fare in culo e passerete il resto dell’anno a fare ciò che avete sempre fatto: agire di conseguenza. Pensate a una cosa qualsiasi. Il primo giorno di scuola? Va bene. Urla, pianti, gonne di madri tirate all’inverosimile. Poi passa, certo, ma il primo giorno è una merda. La prima volta? Bene. Io, per dire, l’ho addirittura dimenticata tanto deve essere stata bella.
Ho letto da qualche parte che l’origine degli attacchi di panico va cercata in età prenatale. E io ci credo. Prendete un bambino che ha passato nove mesi a parassitare nel grembo di un’altra persona, fategli vedere un canale oscuro da cui non spunta nemmeno la luce e dite: prego bello, fatti piccolo, passa per quel pertugio e fatti valere. Sti cazzi, vi dirà. I più furbi, tipo il sottoscritto, la tireranno per le lunghe fino a che non li sbatteranno fuori con le brutte maniere.
L’infanzia, poi, altro non è che un lungo gennaio. Tutti si sentono in diritto di rimproverarti e dirti quello che è più giusto per te. Anche i più coglioni, anche quelli che non hanno concluso un cazzo di niente al mondo. Mentre la vivi non ti pare nemmeno male l’infanzia. Ci sta pure che un giorno rimpiangi i bei tempi in cui qualcuno si prendeva totalmente cura di te. Io ricordo più che altro una gran fatica. Talvolta, ripensando a quegli anni, credo che le cose più utili che ho fatto sono quelle che venivano reputate sbagliate dagli altri. Perché all’inizio si va sempre a tentativi e i tentativi si risolvono nella maggior parte dei casi in errori o in un nulla di fatto. Però tutto quel sbagliare e lasciare le cose a metà conduce a formare qualcosa che nella vita ti servirà ben più che le buone maniere e la tabellina del sette: la personalità.
Le storie d’amore? E va bene. Quanti di voi ho sentito parlare delle farfalle nello stomaco e della passione che c’era all’inizio e non c’è più. A ben guardare anche quelle cose lì di cui vi riempite la bocca sono tutt’al più una primavera, non certo un gennaio. A parte alcuni casi di sconsiderati colpi di saetta, gli inizi sono un periodo tutt’altro che semplice. Ci si studia, si prendono le misure, si sbaglia, non si capisce. Ognuno ha i suoi tempi, certo, ma questa fase è per tutti. Metaforizziamo. Conosci una il 31 dicembre, ci scopi, ti senti un gran leone. Poi il 2 gennaio lei si aspetta un messaggio e pure tu te lo aspetti da lei. Ma non sai che scrivere e apri whatsapp decine di volte e dall’altra parte è online, ma non scrive e perché cazzo non scrivi? Devo scrivere io, vero? E tutto ciò si risolverà, forse, per carnevale. Oppure finirà così. In un fottutissimo pomeriggio bigio di gennaio.
Gennaio è una pagina di word immacolata e un pezzo ancora da scrivere. Magari un articolo avete la fortuna di non averlo mai scritto. Pensate allora a una tesi o a una semplice lettera di ringraziamento. Le dita sfiorano i tasti del computer, l’occhio guarda al browser nella barra orizzontale in fondo al laptop. Una sbirciatina a facebook, poi comincio. E intanto è già febbraio.
L’altro giorno sono andato al bar. Eravamo in tre e stavamo aggrappati al bancone come al parapetto di una nave. Bevevamo Campari e succo d’arancia, come a dicembre. Eppure il sapore era differente da quello provato solamente pochi giorni addietro. Non c’era gran voglia di conversare. Io guardavo la fetta d’arancia ondeggiare nel rosso lago di Campari. Era tagliata male, le linee frastagliate e la buccia irregolare. Ho sentito un senso di angoscia, di immutabile staticità. Come se quel nulla si sarebbe protratto lungo tutti i dodici mesi e le quattro stagioni.
Poi uno ha proposto una cena. Una cena con un po’ di persone, ha aggiunto dopo qualche secondo. Magari a febbraio, ha risposto l’altro. Io ho fatto cenno di si con la testa. Poi ho preso il bicchiere e me lo sono portato alla bocca. Ma non ho bevuto e l’ho scostato dalle labbra di qualche centimetro, giusto per vedere la fetta di arancio dondolare nel liquido. Mi è parso che ancora non si muovesse, che il livello del liquido fosse imperturbabile e la povera fetta non avesse possibilità alcuna di manovra. Allora ho abbassato il bicchiere e l’ho inclinato al punto da far cadere un po’ di liquido sul bancone.
“Che cazzo fai?”
“Niente. Ok, pantha rei. Tutto scorre” ho risposto. Già, tutto scorre. A gennaio non si è più certi nemmeno di quello.