Viaggiare. Sinestesie temporali.
Se viaggiare significasse solo fermarsi ad ascoltare chiunque abbia una storia da raccontare, come vorrebbe Calvino, dovremmo tutti avere più vite, come i gatti.
Viaggiare significa lasciarsi abbagliare dalla luce della sera da Torino Spiritualità a Padova, sul dondolo della concretezza delle persone. Parlare sul treno con un emigrato, riuscire ad evocare nel volto la luce dell’illusione del progresso necessario, rincasare avendo assimilato che lo spazio coincide con le convinzioni con cui si ritorna, si spegne la televisione, senza un gemito, o un conato di nausea.
Il viaggio è la rinuncia alla razionalità, lontani da ogni metafora esistenzialista.
Il viaggio è la rinuncia alla razionalità
Viaggiare è dimenticare le teorie deterministe sulla comunicazione, mescolare calcolo e un pizzo di maschera, aprire bocca potendo formulare un’opinione senza sentirsi pappagalli e sorridere delle opinioni, non ridere di. Senza cadere negli inganni di chi dice che non esiste il destino, il quale è solo la parte di un fantastico involucro, vagamente mosaico, che si professa come una lente causata dal nostro stesso bisogno di logica.
Va bene, non esiste il destino? Vi piace davvero pensare alle parole? Fatelo solo quando avrete raggiunto il grado di sopportazione per dire: “Lei, signora, è disinnescata dai demoni. La sua anima ha colto l’inganno di stare per altri dieci anni al mondo facendo dell’orgasmo della poesia una convinzione e scendendo dai processi mentali altrui”.
E dopo averle disinnescate, le bombe mentali altrui, potreste dire: “Queste sillabe sono il corso delle stagioni e danzeremo per sempre sull’adolescenza dell’umanità, alla faccia di chi si professa hegeliano per nascita”.