Un whisky dal cuore impavido
Sono le 18.24 del 7 di luglio del 2013 e Andy Murray ha appena fatto bingo, portando dopo 77 anni un britannico sul tetto di Wimbledon. Nello stesso istante molti molti scozzesi hanno raggiunto livelli record di assorbimento alcolico, mai registrati in tutta la storia del genere umano e, mio malgrado, ne sono testimone oculare. Mi trovo a Stirling a due passi dal Castello di William Wallace.
In un pub in Piazza Murray mi scolo una rossa con una trentina di fulvi pronipoti di Braveheart, dalle età in verità indecifrabili (qualcuno avrà senza dubbio almeno un paio di secoli) e ci giurerei il mio kilt comprato per l’occasione che almeno il 60% dei presenti fa di cognome Murray, il 30% Wallace e il rimanente 10% MacGenna. Siamo tutti in delirio per la vittoria, di fronte a un maxi schermo che nemmeno quelli in piazza duomo a Milano. Io mi ritrovo ad abbracciare in rapida successione: una tatuata settantenne con tre denti di cui almeno uno in perfette condizioni, un barbuto ventenne di duecento chili e dai ricci vermigli un tantino inquietanti e una siculo colombiana che passava di lì per caso in viaggio di nozze.
Ho giusto il tempo di sperimentare un paio di epifanie e una decina di rivelazioni con incluse profezie sul destino dell’umanità nei successivi quindici o venti secondi e poi tutto torna normale, come se non fosse successa l’apocalisse e io non mi ci fossi ritrovato dentro anche se solo per un minuto abbondante. Gli scozzesi sono più siciliani degli irlandesi, mi viene da dire a questo punto, ma non so a chi dirlo e soprattutto non so come dirlo visto che il mio accento scottish è ancora un po’ troppo sicilian e il mio lessico british non mi permette di andare molto più in là di qualche interiezione cafona o tutt’al più di qualche sano rutto liberatorio, molto apprezzato comunque da queste parti.
Il mio amore per la Scozia è nato in questo pub, a quest’ora, in questo maledetto giorno d’estate.
Qualche avvisaglia c’era già stata in verità. Flirtavo con un whisky poche ore prima dell’apocalisse, in un localino niente male ad Edimburgo, a pochi metri dalla ex distilleria dove mi ero trovato ad alloggiare. Un whisky da urlo. Ho avuto come l’impressione di morire dalla dolcezza che può camuffarsi nel taglio secco, asciutto di un bicchiere di puro malto, mentre una voce jazz lo accompagna al pianoforte. Poi ho guardato negli occhi la siculo colombiana che si ostinava a passare di lì per caso e ho capito che la Scozia mi sarebbe rimasta nel cuore, più o meno come quel malto mi stava sciogliendo gli ultimi residui di incredulità. In modo asciutto, secco e ritmato con una dolce sincope che è giusto il modo di decretare che un amore è scoccato per sempre.
Braveheart è veramente esistito e non tutti lo sanno. Mel Gibson con le chiappe al vento in faccia agli inglesi di Edoardo II sarà stato forse una caricatura un tanto esagerata, ma dopo aver prosciugato una pinta di malto distillato delle Highlands sono disposto a ritenere che nessun uomo sano di mente avrebbe mai potuto esimersi dal mostrare il deretano urbi et orbi, anche volendolo con tutte le proprie forze.
Tutta questa storia di altipiani verdi e desolati, con pezzi di castello sparsi ovunque, echi di battaglie feroci e apparizioni di mostri di Loch Ness, mi ha reso più trasparente il significato della paura. Ho come l’impressione che l’unico vero cuore impavido sia quello di chi fa amicizia con tutte le proprie turbolenti angosce, chiamandole una ad una per nome e cognome, se sa riconoscerle. Altrimenti parliamo di cuori senza dubbio ben accompagnati da scorte distillate di calorie alcoliche, ma da poco altro. Per quello che ne so di me, sono lontano mille miliardi di miglia da questo traguardo e preferisco le note di una canzone jazz piuttosto che un cane rabbioso o un frontale in autostrada. In fondo anche Wallace avrà avuto paura come un matto prima dell’assalto finale. Murray prima del match point se l’è fatta proprio sotto, ne sono sicuro. E anch’io, nel mio piccolo modestamente, me la sono vista brutta mentre mi divincolavo dall’abbraccio del ciccione peldicarota imbottito di birra, riccioli e tatuaggi.
Ma poi chissenefrega, basta salire salire salire sempre più in alto ed Edimburgo dall’Arthur’s seat appare come un respiro di sole tra le nuvole, a latitudini dove dovrebbe soltanto regnare il gelo.
Un cuore impavido trova sempre il modo per raccontare di queste inaspettate epifanie del sole.