Quando diventerò grande (ballata dei quarant’anni)
Non inizia mai questo autunno.
C’è un prolungarsi bizzarro di questo tempo di niente. Che non è nè caldo nè freddo.
Mi fa sentire male, davvero.
Guarda il cielo che strano. Ha sempre questi colori accesi e vivi e l’aria è secca da morire. Non piove da mesi ormai.
Quand’è che tutto è diventato così indefinito? Non riesco a scorgere alcuna certezza.
Ho speso tanta fiducia in questi quarant’anni.
Da giovane non immaginavo nemmeno questa cifra. Intendo vent’anni fa, intendo il numero quaranta. Tutte le foto di quel periodo iniziano ad avere quel filtro senape che tutto fa sembrare antico e io stento a riconoscermi: niente occhiaie, capelli perfetti e sorriso smagliante. Petto all’infuori, mento in alto. L’aria di chi è pronto a sfidare una qualunque eventualità. Di chi regge l’alcol e gli imprevisti benissimo. Stento a riconoscermi, dico davvero.
Oggi è il mio quarantesimo compleanno ma è complicato. Quel quattro accanto a quello zero, mi sapevano di vita ormai avviata tanti anni fa. Non posso dire che manchi qualcosa, posso dire che c’è un tutto del tutto inutile. Non sono mai diventata grande oppure si, contro la mia volontà. Non è mai partita la corsa. Sembra che il giudice di gara non abbia trovato il grilletto della pistola da starter o io mi sono persa lo sparo, ma vedo accanto a me altri corridori in stato confusionale. Non sono sola. La sola.
Cosa mi aspettavo dal domani?
Maledetti telefilm anni ottanta e novanta. A quest’ora avrei dovuto avere un’aria da donna severa e sicura di sé, con due o tre figli e una casa grande e la gestione del tutto come fossi una divinità indiana che muove le braccia e dà equilibrio al mondo, senza alcuna fatica.
E non ho neanche un affascinante appartamento da condividere con amici come me, nel quale, continuare a comportarci come dei ventenni senza tanta vergogna, facendoci qualche nuovo tatuaggio o piercing impossibili.
Questa mattina però sono andata a correre.
Ho messo un piede dietro all’altro, questo ho fatto. Non avevo una destinazione precisa o un obiettivo da raggiungere e a dirla tutta mi è sembrata l’azione più precisa e certa di tutta la mia esistenza.
Ho fatto una corsa all’infinito finchè non ho sputato i polmoni.
Vorrei prendermela con qualcuno perché ho letto diversi articoli e dicono tutti che la colpa è dei nostri genitori, o delle politiche neo-liberiste, o dei mutui subprime o dell’età media che si è allungata, ma di sicuro non mia.
Non sono sicura di questo.
Sono condannata a lavorare in un lavoro che non mi piace, con dei ventenni dalle enormi aspettative e abilità. Com’è giusto che sia. Non ho grandi sicurezze economiche. Mi dicono di non parlare di pensione, come se quella parola avesse ancora un significato. Non lavoro in fabbrica.
Lo chiamano precariato. Campare a la giornata senza un obiettivo preciso.
Ci è forse mancata una guerra? Avere a che fare con dei problemi reali? Spezzarci la schiena con un lavoro usurante?
Io sono come un treno senza il binario e la stazione di arrivo. Così vago. Così io sono questo autunno che non inizia mai. E vado a prendermi un drink con gli amici e parliamo di quanto ci piacerebbe andare in Australia, di quanti erano (e sono) i nostri sogni e poi torno a casa con un vago senso di disagio e ci dormo su. E così ogni giorno.
È la mia ballata da quarantenne.
Pensavo di riscrivermi all’università. Pensavo di aprire un agriturismo. Pensavo di andare in Costa Rica e aprire un bar. Pensavo di tornare dai miei e prendermi cura di loro. Fare lezioni di pasticceria. Volontariato. Di comprarmi un auto a rate. Pensavo di aprire un blog.
Domani invece farò un’altra corsa, fin quando non sputo i polmoni.
Perché le mie gambe sono quanto ho di più certo in questi giorni e spero, un passo alla volta, di arrivare da qualche parte prima o poi.
Foto da internet