Una nevicata vi seppellirà
A prima vista non ho riconosciuto. Attendo che il caffé si raffreddi e appoggio le dita sul bordo della tazzina. Il naso è umido, o forse ho solamente voglia di tirare su. I nervi delle palpebre si affrancano dalla letargia guizzando in direzioni che non è mia facoltà controllare. Quella foto ha qualcosa di familiare. Oltre la neve, la prima della stagione, oltre il bianco che tutto sovrasta come lo zenzero e il cinnamomo. Forse dovrei ingrandirla o cercare una didascalia, ma ciò significherebbe levare le dita dalla tazzina. No. Fisso l’immagine finché la luce del display me lo permette. Poi si affievolisce, quasi che il telefono mi stia spingendo a fare qualcosa prima che sia troppo tardi. Ma io il dito non lo muovo mica. Nemmeno ora che lo schermo è dipartito. E poi oramai ho capito.
Sotto quella coltre di neve ci sono delle panchine e accanto alle panchine e ai tavoli di legno, anch’essa sepolta dalla neve, una casa di montagna con il tetto spiovente e le persiane di legno dipinte. Manca un particolare nella fotografia. Una fotografia parte da una scelta. Tutto non si può tenere. Hanno optato per la neve. Non per il lago.
Ho sempre evitato le uscite a coppie. Le considero infruttuose. Non ci si diverte, non c’è nulla da imparare.
Una settimana prima la neve era ancora una idea confusa nella testa di un qualche ciclone dalle parti della Bielorussia. Sul lago Santo il sole aveva ormai smesso di specchiarsi, ma ancora i raggi lambivano le creste delle montagne attorno alla distesa d’acqua. Sedevo su una panchina di legno e, piacevolmente passivo al piccolo ecosistema racchiuso tra quelle montagne, mi lasciavo inebriare dal profumo di tè e rhum che dalla tazza appoggiata sul tavolo saliva alle narici.
Ma presto l’idillio venne rovinato da due coppie giunte nel tavolino innanzi al mio. Ho sempre evitato le uscite a coppie. Le considero infruttuose. Non ci si diverte, non c’è nulla da imparare. Un’uscita a coppie è una cosa fatta a cazzo. Di quelle che vanno fatte, come se fosse normale. Che sono incentivate dai genitori, che ci mette una buona parola la nonna quando vi vede andare via in giogo a quattro e pure la zia non ha di che rompere i coglioni. Non so cosa ci trovi la gente nell’uscire con altre coppie. Forse che possono lasciarsi andare a maggiori effluvi, che se esci con persone single non si fa mica di abbracciarsi. La discussione era in mano a una lei, che raccontava di lui e lui sorrideva e probabilmente se ne sbatteva i coglioni di quello che aveva da ciarlare. L’altra lei annuiva, diceva che anche il suo lui si comportava così, però non proprio così perché a volte faceva anche cosà e mentre lo diceva coccolava una gamba del suo lui, che insensibile guardava una birra e si chiedeva se prenderne un’altra e rischiare la disapprovazione della lei dell’altra coppia.
Penso che sarebbe stato bello se la nevicata avesse coperto quella gente.
Poi, come per un richiamo ancestrale del dio Horus, i due uomini si alzarono allo scadere del giorno su questo emisfero e impugnarono due Nikon identiche di cui non mi ero accorto prima. Fuori gli obici, armi puntate sulla cresta appenninica, dove la grande palla di fuoco emetteva il triplice fischio. Scatti a ripetizione, una sorta di dozzinale caccia al bisonte. Le consorti ammiccavano e una diceva che si, gli aveva fatto proprio un bel regalo al suo ometto e l’altra annuiva e forse la macchina lui se l’era comprata da sola perché i soldi lei non li aveva mica per una cazzo di Nikon. Ma faceva niente, il suo uomo non era da meno e questo era quello che importava.
Poi un’altra coppia sulla cinquantina munita di telefonino mi si piazzò davanti giusto a coprire l’ultimo belato del sole. Lei sistemò i capelli e si passò un indice sulle labbra e pure il reggiseno mise a regime, sebbene il davanzale nel selfie difficilmente sarebbe stato contemplato. Lui non cambiò mai espressione, nemmeno al click. O forse si, ma ormai avevo ingollato tutto quanto c’era nella tazza e il tè caldo mi raspava in gola e il rhum mi apriva i bronchi e vaffanculo a tutte le vostre foto di merda. Non è quel cazzo di tramonto da fotografare, idioti, sono quelle cazzo di montagne sulla sinistra. Alla vostra sinistra, porca puttana. Lo vedete che quelle montagne sembrano risme di carta stropicciata e gli ultimi raggi del sole, ocra, nulla possono contro la roccia frastagliata e l’ombra scura che prima solamente venava la montagna ora la ricopre quasi completamente col suo tetro manto? Ma fottetevi, gente da hashtag.
L’occhio destro imita il telefono e si chiude sopra il caffè. Si sta facendo tardi. Penso che sarebbe stato bello se la nevicata avesse coperto quella gente. Non mi hanno fatto nulla e io sono un po’ cattivo, ma non è scritto in nessun dove che io debba sopportare ogni sorta di banalità. Che venga copiosa a seppellire tutto ciò che non mi piace e che al disgelo tutto sia sciolto. Distendere tutto su un tavolo di legno. Entrare in una casa di sasso adiacente, il camino acceso, una tazza di tè e rhum tra le mani. Una donna, che non c’entra nulla ma a me fastidio non lo da mai. Tirare su con il naso e attendere alla finestra che la neve cada e ricopra tutto e tutti.
Ho gli occhi chiusi, ma credo di averli aperti. Vedo un rigagnolo defluire da un mucchio di neve annerita. Ci sono parole già dette. Fiati sprecati. Foto di merda. Tramonti rovinati. La primavera è iniziata. C’è aria di pulito. Fresca, ma per nulla fredda.
Il caffé invece è freddo. Farò tardi questa mattina. Una nevicata vi seppellirà.
Foto da internet