Prepararsi per un viaggio
Gli itinerari, le guide Routard, le cartelline con i biglietti, le app con le cartine geografiche off-line, gli asciugamani sottili di Decathlon e i kit di flaconcini che non superano i 100 millilitri sono solo maniere semi-utili di prepararsi per un viaggio. Credo siano piuttosto passatempi per impiegare quei giri dell’orologio che ci separano dal fischio del treno, dal click delle cinture o dal rombo del motore: dal principio dell’incertezza. In verità, il bello è questo: in un viaggio tutto può succedere e con molta probabilità tutto succederà.
Il tempo cambia densità, gli occhi si fanno più curiosi, le gambe più possenti, le mani tremolanti, le sopracciglia si inarcano, la schiena si stanca. Viaggiare significa mettere in discussione, cambiare rotta, rivoluzionare, (ri)mettere a fuoco, ma anche farsi piovere in faccia, perdersi, scottarsi e battere i denti. A volte non abbiamo bisogno né del passaporto né della valigia per dare inizio a un viaggio.
A volte non abbiamo bisogno né del passaporto né della valigia per dare inizio a un viaggio.
Da bambina mi ha sempre fatto un certo effetto posare il dito sulla mia città toccando il legno di un mappamondo: il solo polpastrello copre metà della mia nazione; perfino usando tutte e due le mani aperte non lo riesco a contenere un intero emisfero. Cosa staranno facendo quelle persone sul quel centimetro quadrato di legno mentre io lo sfioro? Ci sono troppe strade nel mondo. Ma la spossatezza iniziale è seguita da una radiosa incertezza: quante storie e quante voci, quanti colori e quante sfumature di azzurro in tutti quei cieli? Abbastanza da sorprendermi per ogni giorno che vivrò viaggiando.
(la foto del gatto è di Chiara Coppola. L’altra è tratta dal web)