Assolo. Studio d’improvvisazione (1)
Stracciato in mille pezzi l’ultimo senso comune, abbordo il predellino di questo sgabello diretto al confine.
Ieri quasi non ricordavo più perché avevo deciso questo appuntamento. Molte idee confuse, gomitoli di apprensioni che si rincorrono confondendosi tra la folla d’intuizioni possibili, quindi occorre improvvisare. Un viaggio scomodo e faticoso.
Godo del disordine, della dissolvenza perfetta e dei volteggi attorno alla ragione che lasciano spazio alla fantasia e così eccomi qui, solo, senza l’opportuna lucidità che servirebbe per edificare un dialogo di senso compiuto.
Saranno appena venti metri quadrati eppure la distanza tra di noi è enorme… io resto qui, voi restate lì.
Questo, qui, dove mi trovo adesso, è il punto da cui dobbiamo partire.
Chi vuole venire vicino a me? Serve accostarsi, stringere, conoscersi, abbracciare, baciarsi, toccare, innamorarsi. Ma scherzo… perché vi state alzando… è solo finzione e provocazione. Siete troppo babbi. Per stare tranquillo ho deciso che questo spazio di tempo deve servire a qualcosa d’importante. Scaglierò messaggi, segnali luminosi, rumori inquietanti, nessuno potrà dichiararsi indifferente se la fragile cute che trattiene il vostro calore corporale all’unisono sussulterà a ogni sobbalzo della mia voce.
Una cosa importante: non lasceremo traccia. Questo l’ho capito appena ieri. Evaporeremo nell’aria… una nuvola leggera, veloce e trasparente andrà a ricongiungersi a chissà cosa nello spazio.
A differenza però di quello che accade nei trasferimenti o nei viaggi, non traslocheremo le nostre cose, non porteremo nulla. Peccato, sarebbe stato il momento giusto per separare le cose utili da quelle inutili. E le scarpe? Neppure le scarpe potremo scegliere e sappiamo quanto sono importanti nei viaggi. Nulla di tutto questo, leggeri evaporeremo nell’aria.
Sì! Qualche amico ricorderà, ma passato qualche anno sarò resettato, cancellato, come quando il computer va in stallo e devi riavviare. IO, noi, non saremo riavviati da nessuno.
Assaporo l’eccitazione dell’imprevisto: paura e curiosità, mistero e inquietudine. Ma ho letto da qualche parte che dopo nove anni si trasmigra in un altro corpo, si riemerge. Da un vortice d’inesistenza, forse irrequieto, risaliremo da un cerchio buio di pozzo verso la sorpresa di un giorno qualunque.
Il gioco si fa interessante. Quindi trasmigrerò in un altro corpo. Nuova pelle, nuove possibilità, corpo che si fa sangue. Quando guarderete un vostro nipote dodicenne smemorato confuso in crisi d’identità che racconta cose illogiche o geniali, secondo il punto di vista, ricordate ciò che vi ho detto, perché quello potrei essere IO. Già, IO.
Potreste provare a chiamarlo: se si volta, sarò IO. Abbracciatelo, allora, e ditegli: bentornato, ci sei mancato, stai sereno, sappiamo chi sei e da dove arrivi, abbiate compassione. Questo pensiero potrebbe rivoluzionare il nostro stare insieme. Guardate il vostro vicino, vi sembra possibile?
La filosofia serve a trovare ragioni per durare all’affanno di questa giornata confusa, un’occasione per lasciare la traccia luminosa che potrebbe identificarci umani. Il caldo esiste per farci soffrire, non puoi resistere, non puoi svignartela. Ma se aspetti il tramonto sai che esiste una possibilità: una brezza che arriva da chissà dove, da lontano, che ti sfiora la pelle e scuote le foglie degli alberi e asciuga i sudori del giorno, scombinando il giro del mondo. Così fino il mattino.
Sono convinto di essere nel giusto come l’intruglio che sorseggio ogni mattino per segnare la circostanza, per scombinare la mistura che ti beve la vita, arginare la fretta della decisione per essere pronto a sfidare la possibilità, srotolando sul tavolo la memoria del giorno che è stato.
Provate anche voi: acqua calda, limone, cannella, curcuma, sale, menta, aglio e un pizzico di pepe. Se riuscite a berlo, dopo vi sentirete padroni del vostro destino. La luce illuminerà il corridoio e salterete gradino dopo gradino come una gazzella. Il problema è sapere dove andare, la direzione giusta per arrivare oltre il confine. Migrerò, ma adesso è ora di cena.
(Foto da web)