Fattoria Veneruso, hotel a cinque stelle
Se nell’era dell’orgoglio vegano la vita dei carnivori è sempre più difficile, timorosi come sono d’essere tacciati proditoriamente da mangiatori di cadaveri, ancor più dura dev’essere fare l’allevatore, una categoria alla quale s’affibbiano pregiudizi a non finire, durissimi a morire come tutti i pregiudizi .
Come scrollarsi di dosso l’accusa, per esempio, d’ingrassare i bovini a forza di ormoni o di nutrirli con farine animali, facendo di un erbivoro un carnivoro a sua insaputa? Come rispondere a chi punta il dito dicendo che gli animali hanno essi stessi i propri diritti? Un diritto a una buona vita; un diritto a una buona morte.
Vero è peraltro che il mercato è impietoso e cinico e cinicamente risponde alle esigenze di coloro – tanti, troppi – che vogliono portare a tavola una fettina, incuranti di sapere da dove provenga, dove sia stata allevata, cosa abbia mangiato, se abbia avuto una buona vita o una buona morte. Persino incapaci di vedere mucche e vitelli oltre il piatto, d’intendere che sia stata parte d’un essere vivente, come se la carne crescesse sugli alberi, come se il latte sgorgasse dalle sorgenti.
E poi ci sono i fratelli Ciro e Francesco Veneruso e la loro Fattoria, che poggia leggera, senza ostacolare la natura, sulla collina di Buonalbergo, pieno agro beneventano.
Qui le mucche parlano e raccontano una storia, mentre serene e placide brucano un foraggio di prima qualità. Lo devi odorare, insiste Ciro. Lo devi odorare. Prima qualità, profuma di pulito. E la qualità traspare in effetti dai manti lucidi dei bovini, mentre le narici umide ricordano tanto le loro rappresentazioni fumettistiche, o le controparti viola proposte dalla Milka.
In una stalla che non odora di stalla e che vista con occhi di mucca sarebbe di sicuro un albergo, abbiamo constatato di persona che l’allevamento non è solo commercio, ma pura passione. Abbiamo appreso che la ricerca dell’eccellenza non è territorio esclusivo della ristorazione, ma che parte invece alla radice, laddove la carne cresce e ingrassa e non è merce, ma materia viva, per la quale gli allevatori, che come Ciro e Francesco amano il loro lavoro, provano rispetto e amore.
Liberi pertanto di servire nei vostri piatti fettine da centro commerciale, di quelle che al primo contatto con la piastra rovente si restringono pavide. Liberi di preferire le razze polacche, che non si sa bene cosa mangino né da quali incroci provengano, alle marchigiane dagli incroci accorti e gloriosi che sono l’orgoglio dei fratelli Veneruso e di quanti altri, come loro, dedicano la vita al lavoro in fattoria. Liberi d’intendere la carne per merce, o d’ingozzare i bambini – i bambini devono avere la carne! (sic!) – dei residui degli ormoni e degli antibiotici che sono stati somministrati agli animali affinché ingrassino il più e il prima possibile e per vincere malattie d’ogni sorta, in una corsa contro il tempo il cui epilogo è il macello.
Se preferirete invece la qualità alla quantità, fate visita alla macelleria Veneruso a Portici, provincia di Napoli. Ne varrà la pena e ci ringrazierete.
Abbiamo visitato La fattoria Veneruso in Buonalbergo, Avellino
Hanno accompagnato la degustazione gli eccellenti vini Taurasi e Aglianico dell’azienda De Santis in Montemiletto.
Si ringrazia Laura Gambacorta per l’Ufficio Stampa.