Domenica (feat. Charlie Watts & Peter Sagan)
Che poi non mi pare di esserci arrivato male. Nel mezzo del cammin di nostra vita, intendo. Non avrò una gran capigliatura, è vero, ma il fisico è asciutto, il ventre tonico, la stamina gorgoglia e tutto il resto funziona a meraviglia. Davanti a casa ho un campo arato, quindi all’orizzonte di selve oscure non vi è traccia. Tutte le mattine scorro di fianco a un tizio che aspetta l’autobus sotto casa mia. Ci facciamo un cenno con la testa. Un mugugno, talvolta. Non perché ci conosciamo, anzi, ma è chiaro a entrambi che l’età quella è. Ha la cravatta mai intonata alla camicia, il mento glabro e la vita alquanto rilassata. Lo potrei sfidare in qualsiasi attività fisica. Nuoto, pallavolo, palla prigioniera, cricket. Cricket però non so le regole. Ma probabilmente manco lui, quindi vincerei comunque.
Poi magari lui ha uno stipendio il triplo del mio. Ma questo è un altro discorso.
Poi magari lui ha già messo su famiglia. Ma questo è un problema suo. Forse anche un po’ mio.
Poi magari lui la domenica vive. Ma questo è un problema solo mio, che invece vegeto.
Non ce la fò la domenica. Non ho mai capito che c’aveva in mente il buon Dio quel sabato sera, che poi era anche il primo dell’universo, in cui decise di aggiungere un altro giorno alla settimana. Questo succede a chi non vuole delegare, a chi si crede onnipotente. E finisce per sbagliare, cazzo. Bastava un consigliere, uno come me. Che stai a fare, molla lì per l’amor di Dio (cioè tuo), va bene così, sabato ci diamo alla pazza gioia e poi ripartiamo lunedì senza starci a pensare troppo su. La messa la facciamo di venerdì che è uguale. Non lo fare. Dai retta a me. Che poi inventano il divano e la TV e io d’inverno sono fottuto.
Niente. L’ha voluta fare, sta cazzo di domenica.
La domenica l’anagrafe mi presenta il conto. Ma è un conto sballato, truffaldino. Gli altri giorni mica sono così. C’è l’IVA al 90%, le accise sui sabati sballati la fanno da padrone, il monte debiti delle ore rubate al sonno farebbe impallidire Tsipras. Si, ci metto del mio, lo devo ammettere.
Ieri sera, ad esempio, ero a Lucca. Il concerto dei Rolling Stones era finito e io ero seduto sul marciapiede ad attendere la mia allegra combriccola che lo sa Iddio dove si era fermata. Avevo qualche bicchiere in corpo e lo sguardo fisso su migliaia di scarpe che mi scalpicciavano innanzi. Le snickers andavano per la maggiore, con buona pace di anfibi e altri modelli forse demodé, ma certamente più consoni all’avvenimento. Allora per la prima volta ho abbandonato i riff e pensato al giorno che sarebbe venuto, alla fottutissima domenica, alla sveglia continuamente rimandata, alle snickers che mi avrebbero rifatto visita nel dormiveglia pomeridiano su un divano Ikea.
Chissà come passerà la domenica Charlie Watts. Lui che sembra uscito dalla sede lussemburghese di ING e non certo da quel macello che fu il concerto di Altamont ’69. Chissà se si pettina pure la domenica mattina. Magari va pure a messa Charlie Watts. E le percussioni della sera prima? E Simpathy for the devil? Lavoro. Nient’altro che lavoro. Un goccio di whisky? Non bevo sul lavoro, grazie. A questo pensavo domenica pomeriggio, mentre gli arti divenivano tutt’uno con il divano IKEA e la TV trasmetteva il mondiale di ciclismo da Bergen, Norvegia.
Mancavano pochi chilometri. Quattro, cinque al massimo. La palpebra mi si riposava sulla lente dell’occhiale che a sua volta pigiava sul cuscino, un francese era in fuga e il gruppo lo inseguiva a poche decine di metri. Poi le telecamere mobili sono andate out. Solo una è rimasta in funzione: quella sulla penultima curva. Cinque minuti di black out, di telecronisti che non sanno nulla di cosa stia succedendo nel frattempo nel gruppo. Le moto sbucano dalla curva. Una, due, tre, dieci moto. Le sirene, le auto della giuria. Ma i ciclisti? Stanno per arrivare. Ora, indovina un telecronista. E invece altre moto. Sarebbe potuto sbucare chiunque da quella curva. Il francese in fuga, un polacco, un colombiano. Hinault? Coppi? Bottecchia? Certo, anche loro. Senza il voyeurismo della telecamera tutto è possibile. D’un tratto mi ha assalito il terrore che le telecamere mobili ricominciassero a funzionare e tutto fosse tornato come prima.
Ho alzato la schiena. Radici sul tessuto IKEA ancora non ne avevo messe, quindi. Magari non sarebbe sbucato mai nessun ciclista da quella curva. Magari i corridori si erano accorti che era domenica pure in Norvegia e fanculo, andiamo tutti in Svezia a comprare un divano comodo. Magari in negozio ci troviamo Charlie Watts e allora vi raggiungo anch’io ragazzi, che anche se è domenica in questo momento tutto mi sembra possibile. Arrivo, cazzo.
Magari no. Perché il gruppo di ciclisti da quella curva è sbucato eccome e Peter Sagan, il grande favorito, eccolo affilare i tubolari e infilare tutti quanti. E con questo sono tre mondiali in fila. Però è stato bello. Cinque minuti di poesia, una parentesi in una domenica già scritta.
Sagan la domenica vince i mondiali. Watts? Non lo so di preciso che faccia Watts. Passeggia per Lucca, forse. Beve il caffè, regala la cioccolata al nipotino. Telefona a una banca lussemburghese e vende le azioni di qualche enterprises. Non sta sul divano. Questo è certo.
Però per qualche minuto le scarpe hanno smesso di scalpicciare dinnanzi a me. E la testa di ronzare. Tutto è divenuto possibile. Anche che Sagan e Watts poltrissero in un divano IKEA. E io, io non lo so.
Se la compagnia era quella, penso sarei rimasto sul divano comunque. Domani gli dico ciao al tizio alla fermata, ho pensato. E sono rimasto seduto, le mani sulle ginocchia, gli occhi sulla folla.