Scuolabus e piedibus
Lo scuolabus si ferma proprio sotto casa mia. Negli anni ha spostato la fermata un po’ più in qua o un po’ più in là, a seconda delle richieste dei genitori. Perché tutti vogliono la comodità. Recuperare un rampollo quasi davanti alla porta di casa fa risparmiare tempo, di questi tempi in cui il tempo non basta mai. D’accordo, mi sono concessa una specie di licenza poetica con ripetizioni inutili forse, ma che ribadiscono il concetto: la fretta. Mamme e papà sempre di corsa, bambini sempre di corsa, a volte corrono pure i nonni e i vicini di casa, nonché eventuali tate e babysitter.
L’autista dello scuolabus è gentile e cerca di accontentare tutti. Forse anche lui ha dei bambini. Forse semplicemente non vede l’ora di alleggerire il suo rumoroso, magari dispettoso, confusionario e frettoloso carico. Maestre e accompagnatrici comprese.
Quando lo scuolabus si ferma e apre la porta, a sbirciarvi dentro è tutto un programma. I bimbi sono irrequieti all’ora di pranzo, ridono, non stanno fermi, qualcuno dei più piccoli piange, vola di tutto, da pezzi di carta, ad astucci, a gomme da masticare masticate. Di mattina presto invece c’è più calma. Il sonno si fa sentire per tutti, chi non sarebbe rimasto volentieri nel proprio lettino? Questa scuola è una faticaccia.
Il mio gatto Tobia non perde un giorno: ogni volta che lo scuolabus si ferma sotto casa lui è lì. Resta seduto impassibile aspettando che i bambini salgano o scendano, a seconda dell’orario. Si lascia accarezzare dai piccoli, un po’ meno volentieri dagli adulti e dispensa fusa a seconda del suo gradimento.
Non so come faccia a capire quando è l’ora, eppure è sempre presente.
Ormai lo conoscono tutti. Una volta l’autista ha lasciato di proposito la portiera aperta davanti a lui e in effetti Tobia è salito, ha fatto un regale giro tra i sedili a coda dritta, ispezionando qualche avanzo di merendina, salutando chi gli pareva con un meo qua e là per poi scendere quasi subito. L’autista infatti aveva aspettato divertito e i bambini sono stati felicissimi della visita.
È una gran comodità quella dello scuolabus per i genitori e l’universo che ruota loro intorno, sempre travolto dalla fretta.
Io me li ricordo i giorni in cui andavo e tornavo da scuola, alle elementari accompagnata in genere dalla mamma, qualche volta anche da papà. Con la mamma si andava a piedi. La scuola non era proprio vicinissima ma nemmeno così lontana e il camminare non lo percepivo come un’attività faticosa: fatta in compagnia non mi dispiaceva. Certo, il primo giorno di scuola era stato un disastro… mi ero sciolta in lacrime sentendomi abbandonata dalla mamma e subito dopo avevo innalzato muri intorno a me, arrabbiata con il mondo, con quel mondo che era cominciato una bella mattina di ottobre con una piacevole passeggiata ed era proseguito nell’abbandono della creatura a me più cara in mano a esseri sconosciuti.
Col tempo le cose sarebbero cambiate, andare a scuola mi piaceva e pure andarci a piedi, anche se talvolta non disprezzavo il passaggio in macchina di papà.
Anche alle medie ci andavo a piedi. L’istituto era ancora più vicino. E pure alle superiori mi è toccato scarpinare (le distanze si erano allungate!) o al limite pedalare.
Era come se il tempo non corresse così in fretta, allora.
Era come se il tempo non corresse così in fretta, allora. Anche se arrivavo tardi a casa, il piatto era in tavola, qualcuno me lo aveva preparato, rassegnandosi ai diversi orari di tutti i componenti della famiglia. Certo, dopo non c’era molto da fare, se non studiare. I bambini oggi invece hanno una quantità di impegni che richiede una segretaria per gestirli. E i genitori sono quasi tutti impegnati a mandare avanti la baracca, con lavori, mestieri e professioni che orari non ne hanno più. Perfino i nonni si concedono il piacere di viaggi e corsi vari, per cui anche il loro tempo è prezioso.
Tempo che non basta mai.
Ben venga lo scuolabus sotto casa a farne risparmiare un tantino.
Eppure, da qualche tempo, è tornata in voga la scarpinata, stavolta collettiva, per andare a scuola. Ho visto infatti una fermata di… piedibus. E ho aspettato di capire cos’era.
Nei centri più a misura d’uomo, e di bambino, si cerca di ripristinare l’abitudine alla camminata, per consentire ai bambini di fare un po’ di attività fisica, conoscere le strade e imparare ad usarle e a stare in compagnia. E difatti li ho incontrati, questi bimbi in fila indiana, con i giubbotti catarinfrangenti, accompagnati da adulti autisti e controllori… appiedati anch’essi. Nessuno appariva stanco, né faceva i capricci, ma l’allegria era evidente nei visi accesi dall’aria fresca del mattino e dall’attività fisica. Ordinati, disciplinati e obbedienti, nel semplice atto della camminata imparavano l’educazione civica, i segnali stradali, le strade del quartiere, a salvaguardare l’ambiente e a salutare educatamente la gente incontrata nel percorso.
La trovo una bellissima iniziativa che mi riporta ai tempi dell’infanzia. Certo, allora andare a scuola a piedi era un fatto normale, obbligato, mica tanto da scegliere. Ma va bene così. L’importante è camminare e prendersi il tempo necessario.
Con buona pace dello scuolabus sotto casa e di Tobia che mai e poi mai si sognerebbe di prendere lo… zampabus.
(Immagini tratte dal web)