L’estate muore in Autobahn
Il fatto è che non sono ancora pronto. Guardo il sole e mi sembra malato. Tu dici che la luce è bella, inconfondibile e eterea. Io vedo il tuo rossetto un po’ sbavato sull’angolo destro della bocca. Lo vedo e faccio finta di nulla. Tutti dormono. E nemmeno dico niente della luce, ma non è così, non hai ragione. Io il sole lo vedo malato, sono più di trent’anni che lo vedo ammalarsi ogni anno a settembre. Lo guardo e non mi acceca più. Un paio di settimane e non scalderà nemmeno più. Lo so che presto morirà, come muore stasera dietro a una collina alberata. L’estate non è l’autobahn. Quella non ha mai fine. E io non sono ancora pronto per questo.
Non è un posto per gatti la Germania. Tranne in estate, il sole fatica ad insinuarsi tra le nuvole e il calore scema tra la coltre di vapore acqueo. Allora i gatti li vedi stropicciare gli occhi, sbuffare, guardare il cielo, cercare uno spiraglio di luce. A settembre di raggi ce ne sono pochi e quei pochi sono contesi da tutti i gatti del land. Solo che loro non amano faticare. Se ne sbattono. Che venga il vento fresco dell’est e le pioggie ghiacciate del mare del Nord. Non importa se l’estate muore, se i topi rintanano, le lucertole ibernano, se le gatte non sono più in calore e le zampe sempre umide. I gatti hanno pazienza. Guardano alle finestre illuminate già nel primo pomeriggio, alla gente che mette mano alle cataste di legna. E del sole non hanno già più memoria.
L’autobahn è una pennellata di grigio nel verde oscuro della boscaglia tedesca. I cartelli indicano uscite che non corrispondono a case, fabbriche, campanili. Forse la Germania è ancora quell’insieme di tribù che Tacito ammirava, i centurioni temevano e i soldati, povere bestie, i soldati tremavano alla sola idea di quelle foreste infide e brumose. Non si esce dall’autobahn per andare a Berlino, Essen o Duisburg. Si esce dall’autobahn per ritrovarsi in una riunione di Burgundi, Marcomanni, si esce dall’autobahn per capire un popolo testardo e determinato, parimenti indivisibile quando la carreggiata è quella della rinascita come quella della perdizione. Si esce dall’autobahn, ci si riunisce, si prende una decisione e si rientra più veloci di prima. Il passato, quello, lo si lascia fuori, nella selva. Scusate, ma noi siamo la locomotiva d’Europa.
L’estate muore come il sole muore sull’ultimo saliscendi dell’autobahn. Domani si spegnerà un minuto prima di oggi. Sempre che lo vedremo. Domani i raggi scalderanno un centimetro di pelle meno di oggi, sempre che ci lambiranno. Domani l’aria sarà umida. Più umida di oggi. Settembre è una pozzanghera che non evapora più come un tempo, è il ricordo di mattine fresche, troppo fresche, trascorse a consegnare curriculum in buche delle poste sovraccariche, di librai stanchi e felici che ammucchiano decine di libri incelofanati e cartelle che odorano di container cinese. Banchi di scuola senza scritte infamanti che profumano di alcool denaturato.
L’autobahn è il sistema linfatico della Germania. Dove l’estate è temperata, settembre fa meno paura. In Germania ad agosto fa caldo, mi hanno detto. Ci posso anche credere. Solo che qui la gente è pragmatica. Una rapida uscita dall’autobahn, un fuoco nella selva e si riparte con l’estate alle spalle. E il sole? Non si vede più. Forse definitivamente sconfitto, forse fagocitato dall’autobahn.
No, non ti credo. Questa luce è sepolcrale. Questa strada non ha fine, ma non porta certo al sole. Forse lo tange, di certo lo ferisce. L’estate si scioglie sull’asfalto dell’autobahn. Tutti dormono. E tu hai il rossetto sbavato.