Una brutta giornata
È una brutta giornata quella che sta per concludersi. Chiudo la finestra, ma mi incanto a guardare quello che sta succedendo là fuori.
Nel giro di pochi minuti il sole è stato prima minacciato, poi fatto sparire da nuvole inquietanti, trascinate da un vento arrabbiato che pare voglia far pagare al mondo chissà quale crimine.
Ipotizzo che il crimine più orrendo che il mondo compia verso se stesso sia una persistente tendenza all’autodistruzione. Si dice mondo, si intende uomini. Sono gli uomini le creature più pericolose e spesso più perverse dell’intero creato. Sono stati resi padroni del mondo, ma questo possesso lo hanno interpretato con la libertà di farne ciò che vogliono, compreso distruggerlo.
Il vento lo sa, per questo è arrabbiato, e in questa giornata nata bella, ha deciso di dare una scossa alle coscienze umane.
Ogni tanto in effetti ci prova. Si scatena in modo esponenziale e quando proprio l’arrabbiatura supera i livelli di tolleranza anche per un essere immateriale come lui, dà vita agli uragani, alle tempeste, ai cicloni. Non c’è modo di trattenerlo, la sua furia è distruttiva. Sembra dire agli uomini: “Ma chi vi credete di essere? Costruite dove non dovete, ignorate il rispetto per le creature e quanto di meraviglioso vi circonda, trascurate di curare ciò che vi è stato (incautamente) regalato, ne sfruttate le ricchezze materiali e rifiutate di conservare la poesia e il valore intangibile della bellezza naturale. Ma ci penso io a voi. Voi create senza criterio e io distruggo. Voi distruggete senza criterio e io devasto i segni della vostra arroganza”.
Il vento quando è arrabbiato sa essere irragionevole e feroce. Sa come procurarsi la complicità delle nuvole, che volenti o nolenti lo seguono e per lui si spremono in piogge torrenziali che precipitano al suolo con violenza. Il vento ottiene anche l’aiuto del mare, il quale dal nulla alza onde immense che non risparmiano i giocattoli acquatici degli uomini e anche ciò che si trova nei pressi della riva.
E poi arrivano i fulmini, i tuoni, la rabbia dell’universo intero. La voce grossa di chi cerca di difendersi come può dopo essere stato calpestato, ignorato, deriso e beffato. Quel clima mite che di solito ci accompagna a queste latitudini si rende complice di tanta ira e si trasforma.
Come dargli torto?
Ecco, la luce si è oscurata, il sole non c’è più. Gli alberi piantati nei marciapiedi si agitano e danno vita a un balletto forzato sotto l’ordine imperioso del vento. Anche loro sono costretti a piegarsi e talvolta si spezzano impotenti sotto tale furia, usati dal vento per creare danni e scompiglio all’insolenza umana. Che disbosca le foreste ma rimpingua le città di creature verdi troppo alte e inadeguate e troppo vicine alle abitazioni.
I lampi illuminano a giorno l’oscurità precoce, risvegliano l’atavico terrore di ogni essere vivente nei confronti del fuoco e del soprannaturale. La voce dei tuoni sembra provenire dalle viscere della terra più che dal cielo, i vetri delle finestre tintinnano terrorizzati.
E arriva l’acqua, da tutte le parti. Sballottata dal vento, a tratti si cimenta perfino in un viaggio orizzontale, in barba a ogni logica. Invade i tombini che rigurgitano sorpresi da tanta sfacciataggine; si infiltra tra gli infissi e penetra nelle case, e speriamo che trovi un limite e non spadroneggi per tutte le stanze fino ad alzarsi di livello.
Non c’è anima che si muova là fuori. Un ombrello non basterebbe a riparare e sarebbe distrutto in un nanosecondo. Volano gli oggetti più disparati: un annaffiatoio di plastica, rubato a un giardino o a un balcone dove faceva compagnia a piante invasate; fogli di quotidiani che qualche incivile avrà lasciato in luoghi sbagliati; vedo un berretto da uomo e pure qualche tegola.
Quanto siamo piccoli e meschini di fronte a tanta potenza.
Quanto siamo piccoli e meschini di fronte a tanta potenza.
È davvero una gran brutta giornata. Fa paura. Una paura ancestrale, la potenza della natura contro cui l’uomo nulla può. Un semplice temporale di fine estate, per quanto violento, che cesserà spero presto, e che intanto mi fa pensare alle catastrofi naturali accadute nel corso dei decenni, a quelle che accadono tuttora, alla presunzione umana e ai danni ambientali che ne conseguono. Mi figuro i cicloni tropicali, le alluvioni distruttive, le onde di tsunami e i terremoti che uccidono.
Quando accade che si risveglino tutte queste energie incontrollabili, quando si contano i danni una volta cessato il peggio, bisogna fermarsi a riflettere, visto che non lo si è fatto per tempo.
Ci sono cose che l’uomo non può governare, altre che sono conseguenti ad un agire indiscriminato e scellerato. E ci sono cose che invece l’uomo può fare per venire a patti con le forze irascibili che lo attorniano. L’umiltà è d’obbligo, siamo piccoli esseri prepotenti, abbiamo solo da ridimensionarci di fronte a chi è più grande di noi. Perché ce ne dimentichiamo, ogni volta?
Lo chiedo al vento che ora si è acquietato, per il momento appagato; alla pioggia che si è esaurita e già prosciugata in attesa di rinascere dal mare; alla grandine che ha graziato auto e finestre limitando le proprie dimensioni. Lo chiedo al meraviglioso arcobaleno che sorge fra i tetti dipingendo la speranza con i colori della sua poesia.