Il coraggio di portare in scena la dismorfofobia
Due giovani attori parlano a un pubblico ancora più giovane di dismorfofobia con la schiettezza dei giovani e il coraggio di chi usa parole difficili.
Se la parola dismorfofobia non vi dice nulla e non avete assistito allo spettacolo #Mirrors, portato in scena il 6 settembre dal Teatro della Gran Guardia nel cortile di Palazzo Zuckermann a Padova, leggete questa storia.
Lei odia i suoi capelli. Nell’incubo di ogni notte ci sprofonda dentro come un baco da seta.
Pensa che i suoi genitori mentano, quando dicono che è bella, e l’intuizione di una presunta bugia la graffia in silenzio. Legge G.G.Marquez alla fermata del bus alla scoperta di sé, intanto lascia tracce di sé in monologhi dettati sottovoce allo smartphone in solitarie note vocali.
Lei pensa al disagio. Non quello che va di moda citare, quello della bottiglia semivuota in mano dopo la sera in discoteca. Pensa al suo disagio, quello che sente ogni minuto del giorno, da sobria, e che non la abbandona mai. Quello che le fa odiare la sua chioma e i cartelli pubblicitari con i volti photoshoppati che la guardano, le danno il buongiorno due volte al dì e non fanno altro che mentire, con i loro messaggi e con la loro stessa presenza.
Lui del suo disagio sembra non rendersi conto, preso dalle telefonate continue del nonno sulle note dei Catarrhal Noise e dalle sue melanzane, dai pensieri sulle condizioni del motorino e dal dilemma amletico sul fumare o meno una sigaretta per fare il figo.
Lo spostapoveri, come lui chiama cinicamente l’autobus, non passa. E quindi entrambi aspettano. Presa lei dai suoi capelli e lui dalle mani di lei e dalle speranze che sia single. Perché è stramba ma bona, e quindi è strambona, e lui giorno dopo giorno cerca di scavare più a fondo in quello sguardo evitante e sfuggente.
Poi un giorno lei si presenta con la sciarpa avvolta in testa per nascondere i capelli. Quel giorno proprio non ce l’ha fatta, a lasciarla libera, a sottoporla agli occhi giudicanti che vede ovunque attorno a sé. Quel giorno cerca la tregua e la trova punendo quella matassa di capelli a lei sgradita, relegandola negli spazi angusti della sciarpa rossa fasciata stretta sul capo. Quel giorno per lei è tutta una bugia e una finzione, una storiella che si racconta per perdere tempo, la fiaba degli amici e quella della famiglia e degli amori. Quel giorno l’unica cosa vera sembra essere l’orrenda presenza di quei capelli che, seppure nascosti, le intasano i pensieri e fanno da filtro rispetto alla realtà, avvolgendola come nel suo incubo preferito.
Lui però continua a guardarla, smette quasi di pensare alle sue mani, grosse, goffe e ingombranti come quelle di Gianni Morandi che lo rendono impacciato e insicuro.
#Mirrors è una storia di specchi deformanti al contrario. Non è da fuori che arriva l’immagine distorta di sé, ma da dentro, dai propri occhi. Che succede quando la visione soggettiva è falsata da uno specchio deformante interiorizzato?
La semplice trama dello spettacolo portato in scena a Palazzo Zuckermann il 6 settembre 2017, a cura del Teatro della Gran Guardia, propone come risposta l’ascolto. La sospensione della critica continua di sé, l’ipotesi di lasciare che siano altri occhi, per una volta, a raccontarci ciò che vedono guardandoci. Ascoltare e lasciarsi scoprire, dare una possibilità a chi ci tende una mano ferma e solida a cui aggrapparci. Sorprendersi nell’accorgerci che occhi nuovi trovano in noi qualcosa di bello che noi non sappiamo trovare.
La specularità sta nello sguardo dei due ragazzi, nell’immagine di sé che si rimandano, nell’accettarla o nel preferire il rifiuto e mantenere il giudizio interiorizzato e ansiogeno che fatica ad andar via. Lo specchio capovolge l’inferno di Sartre che non è più negli altri ma in sé.
Mettere una parola difficile nel titolo di uno spettacolo teatrale che vuole parlare ai giovani è una scelta coraggiosa, eppure il termine dismorfofobia compare subito, nel sottotitolo di #Mirrors. La pièce, con una scenografia ridotta al minimo ma una colonna sonora che fa l’occhiolino ai nati dagli anni ’90 in poi, vede in scena attori giovani e parla a un pubblico ancor più giovane, ma anche ad adulti che lavorano con gli adolescenti. Nonostante il contesto contemporaneo suggerisca l’appiattimento e la semplificazione -anche lessicale- come soluzione a molte questioni, quella del 6 settembre è stata l’occasione per lasciar spazio, dopo lo spettacolo, a un dibattito di ampio respiro dove si è accennato a disturbi alimentari, al disagio adolescenziale e post-adolescenziale, al bullismo e cyberbullismo: problematiche familiari e sociali diffuse fra i giovani, che costituivano una buona parte della platea.
Ovvero, in sintesi: quando il teatro arriva in cornici suggestive come quella del cortile di Palazzo Zuckermann e si riappropria della propria matrice sociale.
#Mirrors, racconto-spettacolo sulla dismorfofobia
Spettacolo a cura del Teatro della Gran Guardia
di Andrea Pennacchi e Lia Bonfio
Consulenza Scientifica dott. Adriano Legacci (Presidente Pagine Blu degli Psicologi e Psicoterapeuti)
Con Eleonora Fontana e Nicola Perin
Regia Andrea Pennacchi
Aiuto regia Lorenzo Maragoni
Ph: Febo Teatro