Cambiamenti (e gazze ubriache)
Oggi mi sono svegliato tardi. Non sono andato a letto a chissà quale orario, ma questo poco importa. Mi sono svegliato tardi perché non ho particolari cose da fare di primo mattino. Ho tirato su la tapparella e sono uscito sul balcone. Sono in mutande e il bus è fermo a una decina di metri da me. Non me ne importa molto che mi si veda semi nudo sul balcone di casa. A dire il vero ci sta pure che ti faccia piacere. Qualcuno ha pronunciato questa frase. Si, l’ho sentito, è stato un piccione. No, è una gazza, non è un piccione. La vedo barcollare pochi metri sotto i miei piedi, dove il cortile è terra battuta e pare sia passato Attila e invece è il risultato di un’estate torrida che ha fatto un olocausto di tutto il verde pubblico.
La gazza è ubriaca. Mi sento le borse sotto gli occhi. Le pigio con indice e pollice della mano sinistra. Prima una e poi l’altra. La gazza è ubriaca, strafottente e malferma su quelle zampe poco propense ai bagordi di fine estate. Non devi bere a stomaco vuoto, le dico. Ma questa mi fa una pernacchia. Mi sfotte. Mi dice che fanno cagare le mie mutande e guardo l’elastico dove sta scritto Lotto e penso che dovrebbe vedere quelle dove sta scritto Uomo, allora. Che cazzo mangio io, narciso? Che cazzo mangio che i lombrichi sono secchi e i vermi sono terra e niente più? Bevo.
La devo smettere di parlare con le gazze ubriache. Me ne ritrovo sempre qualcuna sotto il balcone, di sti periodi. Sono fetenti, gracchiano sentenze e sputano maldicenze. Guardo l’orizzonte e vedo quella fottutissima luce ocra di fine agosto. A fine agosto la luce non cambia mai, che siano le nove come le diciassette. L’aria è calda, però la senti che è diversa. Punge. Arriva da sotto. Un secondo. Poi nulla. Però intanto l’hai sentita.
Non li reggo i cambiamenti. Come le formiche che piuttosto piantano lì di lavorare. Come le zanzare che piuttosto piantano lì di rompere i coglioni. Come i vecchi che piuttosto crepano. Una volta ho visto un documentario sulla produzione della mozzarella in Campania. Pigliavano la pasta da un enorme calderone di latte e la torcevano senza riguardo. Era notte e stavo un po’ ubriaco. Ho pensato che i cambiamenti avessero lo stesso effetto sulla mia anima. La mia anima a fine agosto s’intreccia. Diviene treccia ogni qualvolta occorre cambiare qualcosa o qualcosa cambia per me. Poi mi sono addormentato con la Tv accesa e quando mi sono svegliato era ancora buio e Matilde mi invitava a fare due chiacchiere al telefono.
Una gran fregatura essere nato in un’età dove tutto cambia in pochi attimi. Guardo la siepe arsa da infinite canicole e penso che ci sono state età peggiori per quelli della mia stirpe: l’alto medioevo, il seicento, fine ottocento. Fregature. Tempi in cui il presente è una chimera e il passato l’errore più grande si possa commettere.
La gazza è andata e il bus è partito. L’ho seguito finché la pubblicità sul retro non è divenuta indistinguibile. Poi ha voltato e di lui non è rimasto nemmeno il rumore. Un altro autobus giungerà tra dieci minuti. Simile eppure differente. C’aveva ragione Taylor a impostare le fabbriche come una enorme catena di oggetti che si susseguono uno dopo l’altro. Che altro è la vita se non un barattolo di pomodoro che scaccia un altro barattolo di pomodoro e prende il suo posto sotto i nostri occhi.
Detto così è semplice. Infatti lo è, detto così. Solo che nelle cose, in quelle cose che non sono barattoli del cazzo, investiamo parte di noi sotto forma di ricordi, speranze, odori. Se la catena di montaggio si fermasse che ne sarebbe delle nostre emozioni? Rimarremmo a fissare un barattolo per tutta la vita, faremo il bagno tutto l’anno, rideremmo delle stesse battute pronunciate dalle stesse persone, non impareremmo nulla di noi stessi e delle altre persone, non impareremmo manco a fare l’amore. Mangiare, dormire e riprodursi.
Sono tra le persone meno adatte ai cambiamenti eppure ai cambiamenti devo tutto. Ho cambiato foglie più di trenta volte, più dell’albero che ho davanti e mi separa dalla strada e vado tutto sommato fiero della mia corteccia. Anche se ogni volta ho sanguinato come Pier delle Vigne quando Dante ne spezzò le fronde. Sei in mutande, direbbe la gazza ubriaca, senza dubbio della tua corteccia ti compiaci alquanto.
Ma le gazze vanno e vengono e si ubriacano e sproloquiano. E poi non è mai la stessa. Anche le gazze cambiano. A volte ne arrivano di sobrie, pure.
Quello che non cambia è questa luce di agosto. Mai.