La casa della signora Priscilla
Una piccola luce illumina una finestra dalle tende scostate. So chi ci abita. È la casa della signora Priscilla.
Siamo quasi al tramonto, l’ora in cui da fuori non riesci a scorgere l’interno delle case attraverso i vetri di una finestra se lì non ricorrono all’elettricità o comunque a una sorgente luminosa. Al massimo si intravedono le ombre, che comunque muovendosi attestano che quella casa è viva.
In casa della signora Priscilla invece la luce è già accesa.
Lei è una signora di altri tempi. Si dice in giro che fosse una nobildonna, chi dice marchesa, chi contessa, qualcuno mormora perfino principessa. La verità, come la sua età, non la sa nessuno, perché non c’è nessuno a cui chiederla. La signora Priscilla ha sempre abitato da sola da quando è arrivata in quella casa e ci è arrivata con in dote un’età già non più verde. Con i capelli bianchi pettinati in un’acconciatura impossibile ma perfetta, orecchini d’oro tondi e vistosi e un filo di perle al collo. Anche per andare a fare la spesa usciva così, pettinata, truccata ed elegante. Perché, diceva, anche se esci per un quarto d’ora non sai chi puoi incontrare. O cosa ti può capitare. E all’appuntamento con il destino, galante o doloroso che sia, bisogna farsi trovare pronti e in ordine.
Qualcuno dice che la signora Priscilla sia stata una scrittrice di fama in incognito. Per la precisione, avrebbe scritto romanzi d’amore.
Il dubbio è circolato perché quei pochi che hanno avuto accesso a casa sua hanno visto librerie imponenti e un numero impressionante di volumi occupare qualsiasi spazio. Tanto che in casa non c’era posto per niente altro, né per gli affetti, né per un gatto e nemmeno per un canarino. La signora Priscilla era sempre sola. Sola con i suoi libri e non sembrava soffrirne.
Allora, ci si chiede, come poteva scrivere d’amore se l’amore sembrava averla abbandonata?
Era un mistero, destinato a restare tale.
La luce alla finestra illumina la signora Priscilla, seduta in una poltrona con la visuale sulla strada. La signora non è da sola.
La signora Priscilla non è più stata sola da quando si è sentita male in strada tornando dal fruttivendolo. È caduta, perché metà del suo corpo l’ha tradita. Metà cervello, un braccio, una gamba, un occhio. Cadendo ha sbattuto il capo sul marciapiede, i capelli bianchi si sono colorati di rosso, come pure l’elegante vestito celeste, accollato ma senza maniche. Lei era in ordine, come sempre. Sarà stata contenta quando ha ripreso conoscenza all’ospedale. La biancheria era pulita, la pelle profumava di talco e di una goccia di profumo fiorito. Peccato per il vestito, ma lì non era certo colpa di una improbabile sciatteria.
La signora Priscilla non è stata però in grado di vantarsi del proprio ordine. Non ha più parlato, da quel giorno. Nella metà del corpo che l’ha abbandonata per non tornare più c’era pure il dono della parola.
Il resto invece un po’ alla volta è tornato. I movimenti, lenti: la gamba, il braccio, con fatica, sono tornati a muoversi. Ma la signora Priscilla non avrebbe più potuto vivere da sola.
Lei con tutte le forze che le erano rimaste aveva rifiutato qualsiasi sistemazione. Sapeva farsi capire benissimo. Voleva tornare a casa sua, fra i suoi libri e i suoi silenzi.
È stato allora che si è messo in moto qualcosa di straordinario.
Parenti non se ne conoscevano, ma tutti nel quartiere conoscevano la signora Priscilla. Con i suoi modi gentili e aristocratici, ma non altezzosi, quel suo essere fuori dal tempo, con l’alone della gran dama, forse scrittrice, chissà, dal passato misterioso, era un po’ la mascotte di tutti.
Così in tantissimi si sono mobilizzati e hanno fatto in modo che la signora Priscilla tornasse a casa sua. Lei ha fatto capire di essere in grado di pagare qualcuno per i bisogni quotidiani e pratici di assistenza. E difatti subito si sono trovate due donne che si alternano nella cura della casa e della sua persona. Ma ciò che è stata messa a disposizione in modo gratuito e inaspettato dal circondario è stata la compagnia.
Non c’era chi non provasse affetto e compassione per la nobildonna così mutilata della propria autonomia. Non era difficile immaginarsela incapace ormai di riprendere quella che era stata, si presumeva, la passione di una vita. La lettura. La scrittura restava quanto mai improbabile potesse essere ripresa, ma quando fu chiaro che la signora Priscilla non era più in grado neanche di leggere ci fu la gara perché non abbandonasse almeno quel rito.
L’idea era venuta a Kito, un ragazzo nigeriano del centro di accoglienza, che frequentava la parrocchia e l’oratorio di don Mirko. Kito stava studiando l’italiano, era molto bravo, tanto che veniva richiesto spesso come interprete quando arrivavano nuovi disperati come era stato lui.
Timidamente aveva detto al prete che avrebbe potuto andare a leggere qualcosa alla signora dai capelli bianchi che sempre lo salutava quando lo incontrava. Così, tanto per farle compagnia e ricambiare la sua gentilezza. Sempre se si fidavano di lui, aveva detto abbassando gli occhi. Don Mirko aveva trovato l’idea bellissima, l’aveva proposta alla messa domenicale e subito si era scatenata l’offerta dei volontari e volenterosi lettori.
Non solo Kito, ma in tanti da allora si alternano in casa della signora Priscilla a riempirne i silenzi con le parole dei libri. Ovviamente le era stato chiesto prima se le avrebbe fatto piacere. Chi era presente giura di aver visto i suoi begli occhi blu accendersi di gioia, e il capo tutto bianco trovare la forza di muoversi su e giù con vigore, in segno di assenso. Così la casa della signora Priscilla, che non aveva spazi per contenere nemmeno un canarino, si era riempita in un attimo di persone, di parole, di amore. Era lei a scegliere il libro tra tutti quelli che invadevano ogni angolo e chi era di turno si sedeva con lei e cominciava a leggere la nuova storia.
La signora Priscilla è in poltrona accanto alla finestra. La luce di una lampada da tavolo la illumina mentre fuori il crepuscolo avanza, e illumina anche la testa scura e ricciuta di Kito, china su un libro. Ci scommetto che le sta leggendo ad alta voce un romanzo d’amore, in un italiano un po’ sillabato ma forte e deciso, mentre la signora Priscilla se la ride serena, perché lo sa, che noi non sapremo mai se quel romanzo lo ha scritto lei.
(immagini dal web)