Un passero alla finestra
Un passero si nasconde tra i rami del pino che sfiora la mia finestra. Si nasconde per modo di dire. In realtà i rami sono piuttosto diradati e lui non si fa problemi a restare allo scoperto. Anche se io sono così vicina da poterlo toccare.
È una presenza consolatoria in questo momento di sofferenza.
Lui è certamente di una fragilità fisica estrema, così piccolo, esile, leggero che puoi tenerlo in una mano e perfino schiacciarlo chiudendo le dita. Eppure non ha paura della propria gracilità, tutt’altro. È la sua condizione, è quella che conosce. Sembra voler offrirmela, dato che non si sottrae ai miei occhi.
Anche io mi sento fragile come lui, con il fisico piegato da un infortunio doloroso, per quanto, dicono, temporaneo. Costretta a un periodo di fermo, io che correvo tutto il giorno, io che con la mia professione ero di sollievo alle persone bisognose, sono diventata a mia volta bisognosa e frangibile. E chiusa alla sofferenza altrui.
La sofferenza porta all’egoismo, piccolo passerotto, non lo sapevi?
Non lo sapevo nemmeno io. Ma quando provi dolore, perlomeno se non sei un santo, poco ti importa di quello degli altri, non riesci a vedere oltre il tuo. Almeno all’inizio, quando ti scopri impotente, sofferente e fragile, appunto.
Motivo per cui non mi affaccio più alla finestra da giorni. Perché il mio mondo si è ristretto alla mia stanza, ai metri quadrati che mi fanno da prigione e da limitato orizzonte. Perché la vita che scorre là fuori io non la posso afferrare, mi sfugge dalle mani inesorabile.
Però oggi mi sono di nuovo affacciata, attratta dal sole. Il sole richiama sempre a un risveglio, un nuovo giorno, una nuova vita. Ho avvertito il profondo bisogno di sentirne il calore sulla pelle. La prima cosa che ho notato, mentre un caldo raggio mi arrivava fin dentro il midollo, è stato quel batuffolo di piume tra i rami del pino, piccolo e perfetto. Così minuscolo da risvegliare in me il senso di protezione verso chi è indifeso. Bè, non è che io sia così forte in questo momento, sto ancora male, non posso fare quasi niente se non lasciar passare i giorni. Però il passero mi comunica un senso di fragilità estrema, più di quella che io possa credere di avvertire nei miei stessi confronti.
Eppure lui è coraggioso, indomito. Sembra perfino allegro, con quel suo muovere la testa qua e là velocemente. Poi salta dal ramo al mio balcone, e io trattengo il respiro. Zoppica. Sì, di solito i passeri saltellano su entrambe le zampe quando non volano. Ma lui ha una zampina offesa, piegata, su cui non può di certo far conto, il suo saltello è monco, sebbene efficace. Non è perfetto. A pensarci bene, forse nessuno lo è.
Resto fulminata. Avevo ragione, è una creatura così delicata che basta niente per spezzarla. Questo però non le impedisce di uscire allo scoperto, di guardarsi intorno pure con fiducia e di fare la sua vita come tutti. Perfino di avvicinarsi a un’estranea come sono io, potenzialmente pericolosa.
E devo dire che ha ragione pure il passero. Le fragilità sono solo apparenti, in realtà sono punti di forza. Nessuno mi sembra più forte del passero in questo momento. Che non si cura della propria menomazione, non si cura della propria apparente debolezza, ma compie i gesti di tutti i giorni come può, osando perfino l’impensabile, un avvicinamento al nemico. E lo fa con una tale grazia e spavalderia che scoppio a ridere e insieme piango. E mi scopro a minacciarlo con dito scherzosamente, gli dico che però lui sta barando, che non faccia il furbo con me, perché se è vero che zoppica, ha però a disposizione le ali per volare via e mettersi in salvo. Io invece sono inchiodata a terra.
Tuttavia non me la prendo né con lui, né con me stessa, né con il destino. Le cose accadono, se poi dopo sono legate a un fine lo si scopre solo vivendo, giorno dopo giorno. Accettando quello che accade. Accettando di essere forti e fragili, malinconici e felici, interi o a pezzi. Accettando di vivere quello che viene.
Certo, un paio di ali in questo momento mi farebbero comodo caro passero. Non è che me le presteresti?
Il passero saltella sulla zampina sana, piega la testa e mi fa l’occhiolino. Poi, in un frullio, distende le sue alucce e porta la sua magnifica, generosa fragilità, nel cielo, contro il sole. E non è più un passero. A guardarlo meglio, ora è un’aquila.
(foto da web)