Intervista a Pedro Sánchez
Primavera 2015: incontro Pedro Sánchez vicino ai camerini dopo la sua esibizione a Casa de la Memoria.
Un teatro o una peña? Dove ti senti più a tuo agio, o meglio, dove puoi esprimere meglio la tua arte? L’interpretazione e le sensazioni sono le stesse o cambia qualcosa se ci si esibisce davanti a dieci persone o cinquecento?
Le responsabilità e il rispetto sono gli stessi. Un teatro magari ti può mettere più suggestione, ma le sensazioni dipendono anche dal momento stesso, da come ci si sente.
Faustino Núñez in una conferenza a Cordova ha sottolineato l’importanza degli appassionati di flamenco stranieri, di quelli che non lo hanno nel sangue, dei turisti, per la sopravvivenza del flamenco e la sua diffusione. Qual è la tua opinione a tal proposito e come vedi l’interesse dello straniero?
Il flamenco ha dato da mangiare a molti artisti anche grazie agli stranieri. Il flamenco non piace a tutti, non tutti lo capiscono. Ma a chi piace, be’, il flamenco lo rapisce per tutta la vita. Anche per questo ci sono tanti stranieri che alla fine rimangono affascinati da quest’arte. Il flamenco deve molto agli stranieri.
Qual è il palo che più ti rappresenta e perché, e quale invece ti risulta più estraneo, se ce n’è uno.
Quello che mi piace di più, direi la soleá. Non so perché. Io sono di Triana, forse avendo ascoltato sempre mio padre [il padre di Pedro Sánchez era Naranjito de Triana, grande cantaor flamenco, N.d.R.], mentre cantava le soleá, soprattutto le soleá di Triana… Credo sia uno stile che definisce molto il flamenco.
Uno che non mi piace invece non c’è. Forse ci sono stili che interpreto di più e altri di meno… ma dipende anche da con chi sto lavorando.
Che hai suonato oggi a Casa de la Memoria?
Una granaína e una soleá.
Essere maestro e artista. In quale momento senti che stai dando di più all’altro, pubblico o alunno, durante una lezione o un’esibizione?
Io insegno alla Fundación Cristina Heeren. Quando insegno mi dedico all’altro come se fossi in un teatro, anche se ovviamente è diverso. Ma bisogna sempre darsi al 100%.
Il momento più importante e quello che più ti ha emozionato della tua carriera.
Il momento più importante è stato il giorno in cui mio padre si è ritirato professionalmente, c’è stata una cerimonia al Teatro de la Maestranza, il 28 settembre 1996. Ha concluso la sua carriera dopo più di cinquant’ anni di cante. Quel giorno per me è stato, come succede nel mondo della corrida, l’alternativa, perché il nome di mio padre – anche se io non sono cantaor ma chitarrista- sarebbe continuato con me. È una grande responsabilità che porto avanti con molto orgoglio.
I tuoi maestri, coloro che ti hanno insegnato qualcosa che non dimenticherai mai.
Io non ho avuto un vero e proprio maestro di chitarra da cui andavo a prendere lezioni. Il mio maestro è stato mio padre. Poi ho ascoltato molto i grandi chitarristi, Montoya, Niño Ricardo, Sabicas, Esteban de Sanlúcar, Paco de Lucía, Manolo Sanlúcar, Serranito, Rafael Riqueni, Gerardo Núñez, Vicente Amigo.
Quali sono gli artisti che più ti piacciono della scena attuale del flamenco e con i quali ti piace o piacerebbe lavorare.
Come bailaora Pastora Galván mi piace più di tutti, per me è la migliore, tecnicamente, artisticamente. Ma anche Adela Campallo, o Rocío Molina, che è più moderna. Poi Israel Galván, Rafael Campallo.
Le emozioni che provi proprio prima di andare in scena e quelle che sorgono durante lo spettacolo e alla fine, quando tutto finisce.
Prima c’è molta agitazione, un nervosismo tremendo. Poi quando cominci, piano piano ti rilassi, ma ci vuole un bel po’! Dopo invece, se è andata bene, ti rilassi talmente tanto che ti viene un sonno incredibile.
Qual è secondo te il modo migliore per avvicinarsi al mondo del flamenco partendo da zero? Teoria, pratica o …?
Teoria e pratica. La storia del flamenco ti aiuta a capirlo meglio e ti aiuta anche con la pratica. Bisogna cominciare da zero. A volte i ragazzi che vengono qui hanno un’idea sbagliata di come funzionano le cose. Bisogna studiare molto. Se prendi delle coreografie di Rocío Molina ad esempio, be’, lei ha uno studio dietro, sulla ritmica e su tutto quanto. C’è gente che vuole arrivare a fare cose del genere senza aver studiato!
La città che rappresenta la tua capitale del flamenco.
Siviglia e Triana. Da Triana sono usciti i canti. Sono nate la seguirilla, la soleá. Poi le province di Utrera, Lebrija, Morón… Ma soprattutto Siviglia e Triana. Triana sarà sempre Triana.
Tradizione e modernità, dove ti collochi tra questi due poli, cosa pensi della scena attuale e cosa pensi degli “esperimenti”, della fusione di stili? Come vedi la presenza di altre musiche nel flamenco?
Il flamenco avanza moltissimo, soprattutto nel baile e nella chitarra, più che nel cante. Io sono un chitarrista più classico, ma mi piace che il flamenco cresca. Io sono a favore dell’innovazione quando ha un senso. Si deve vedere che la radice è il flamenco.
La difficoltà più grande del percorso che hai fatto fino ad ora?
La difficoltà più grande è rimanere sempre con la curiosità e la motivazione di un bambino. Nel mondo degli artisti è difficile, ma è una cosa fondamentale. Se si cade nella noia è finita.
Qual è il tuo sogno più grande? Hai qualche progetto ancora in sospeso?
Vorrei continuare a vivere grazie alla chitarra, ed essere felice con la chitarra, a scoprire nuovi mondi. Sempre imparando dai grandi artisti. Vorrei continuare così.
Una persona non conosce nulla del flamenco. Quale disco gli presteresti per presentarglielo?
È difficile! Lasciami pensare…
Per me il miglior disco di chitarra è Tauromagia di Manolo Sanlucar. Per far vedere cosa si può fare con una chitarra. È un disco incredibile che ha catturato moltissime persone. Di cante, be’ forse un disco di mio padre! E poi un video di come si ballava a Triana anticamente. Per vedere come ballavano bene gli anziani, che eleganza avevano, come in Triana Pura.
“La chitarra sta cambiando e io ho un obbligo con la gente che mi segue di aprire nuovi campi” ha detto Paco de Lucía nel 1986…
Paco era un genio e a volte i geni sentono la responsabilità di dover continuare a lottare per qualcosa, in questo caso il flamenco. Aveva una pressione così grande che alla fine il tempo gli ha presentato la fattura. Noi qui appoggiavamo tutto ciò che faceva perché era davvero incredibile. A volte, quando era giovane, qui non riempiva i teatri, invece appena andava all’estero sì. Ma qui abbiamo questo difetto che non apprezziamo ciò che abbiamo, il flamenco è stato discriminato. Ora piace di più il “flamenquito”. Il flamenco autentico piace a una minoranza. Ma questa è un’altra storia.
Grazie a Pedro Sánchez per questa bella chiacchierata!
Foto: da web