Dialogo semiserio sul funerale
– Che palle però.
La sua esclamazione mi coglie impreparato. Mi capita spesso di assentarmi un attimo, soprattutto nel tardo pomeriggio. La gente parla e io non l’ascolto più. Oppure non parla, come in questo caso, e io non faccio nulla per cambiare lo stato di cose.
– Cosa? Che palle cosa?
– Quello. Che palle, cazzo – mi lascio condurre dalla sigaretta spenta tra indice e medio che utilizza per indicarmi il televisore. Faccio un giro largo. La foto del vecchio padrone morto da dieci anni, le pinte vuote, capovolte e in rigorosa fila di dieci, il culo della barista. La televisione, infine.
– Ma è un funerale. Un funerale, cazzo. Non è il carnevale di Rio, non deve essere divertente. Suvvia.
– Perché no? – Si porta la mano alla barba, la sigaretta sfiora e incrocia le labbra – Perché no? Tanto di lì bisogna passare. Quindi perché sfracellare le palle alla gente?
– Ma non ti è passato per la mente che magari qualcuno preferirebbe piangere che ballare? Non so, ora questo non ho idea di chi sia, però avrà dei figli, una moglie, degli amici. Un’amante. Cazzo ne so. E magari sta gente ci sta male e poi arrivi tu e dici divertiamoci ragazzi. Sotto con quei culi! Alcool! Dai stronzi ballate!
Tu non capisci una fava. La devi sempre sbragare – dice.
– Quindi non è un problema se mi presenterò al tuo funerale sbronzo? – chiedo.
– Fai pure. Sempre tu sia ancora vivo. Cosa che non credo, a dire il vero.
– Con una mignotta?
– Piantala di dire stronzate – Distoglie lo sguardo. Sorride alla cameriera. Lei non lo caga di striscio. Guardo le labbra di lui. Non emettono suono, ma l’accenno è inconfondibile: troia. Poi continua – A parte scherzi, non dirmi che non ci hai mai pensato.
– A cosa? – Chiedo. Ma so a cosa si riferisce.
– Al funerale. Non ci hai mai pensato al funerale? A come ti piacerebbe che fosse.
Io ci penso un sacco al funerale. Non ho alcuna fretta, ma ci penso un sacco.
– Io ci penso. Non vedo perché non bisognerebbe pensarci – dice. E non è vero che ci pensa. Ne sono certo.
– E come lo immagini il tuo funerale? Io a sti punti non piango. Già te lo dico – chiedo e mi propendo verso di lui, un po’ per sfida e un po’ perché mi scappa da pisciare.
– Tu sei il primo che piange, coglione. – ribatte lui – Tu ti butti sulla bara e urli e ti strappi le vesti e il becchino ti deve tirare una colpo di badile sul culo per farti togliere dai coglioni – e così dicendo si alza, si infila la sigaretta spenta in bocca, adocchia il sedere della barista, si sistema la mercanzia all’altezza dell’inguine. Infine decide di chiuderla così – Io piscio e poi fumo. Tu fai un po’ quello che ti pare. Comunque io un po’ di musica ce la vorrei.
– Che musica? – chiedo. Non mi aspetto il Requiem di Mozart, ma sono curioso.
– Musica. Quale musica? Che ne so. Ci penserò. Non ho intenzione di fare in fretta. Mi dispiace per te, ma non ho proprio intenzione. E adesso se non ti dispiace, c’avrei da cambiare l’acqua al pesce.
Lo guardo scomparire dietro la porta del bagno. Bluffava, non avevo visto male. Comunque una volta al cimitero vidi un uomo che portava i fiori sulla tomba della moglie e allora capii che non tutti gli uomini erano andati in guerra, in Belgio e a puttane e non tutte le donne passavano i loro ultimi venti anni in casa da sole. Questo fu un peccato. Mi ero fatto un sacco di progetti a riguardo. Già vedevo tutte le mie future donne piangere e guardarsi in cagnesco e tutte a dire il suo cuore è mio, no mio, sei una puttana, vaffanculo. Si, lo so, non è vero niente. Sono cose che penso ora nei momenti di delirio, mica da bambino. Il fatto è che le penso davvero e questo fa di me una persona un tantino problematica.
– C’ho pensato – Faccio all’amico quando torna dal bagno. Lui mi guarda e si rigira la sigaretta spenta tra le labbra. Ma non dice nulla e forse ha dimenticato già tutto.
– Vorrei Let it be dei Beatles. E vorrei il codazzo di tutte le donne che ho avuto e che ovviamente, essendo io sostituibile di certo ma sicuramente non dimenticabile, sono rimaste legate a me per sempre. E vorrei che fossero giovani, o meglio dell’età di quando le ho avute. Perché allora saranno vecchie decrepite e alcune già putrefatte.
– Tu stai male – mi dice lui. E dallo sguardo intuisco l’ennesimo bluff e in verità gli piace proprio quello che gli dico.
– E infine vorrei godermi la scena dall’alto. Sai che bello, l’apoteosi del mio egocentrismo.
Mi volto verso la barista. La guardo e in verità penso ad altro. Lei mi ricambia lo sguardo. Che è meno sognatore del mio e posso leggervi distintamente il pensiero: che cazzo c’hai da guardare, sfigato?
Lei no. Lei non ce la voglio mica.