Sere d’estate
In queste sere, che l’estate sia cosa certa ormai è evidente. Lo dice il calendario, anche se la data ufficiale non è ancora arrivata (ma giugno è sempre estate e non si discute!). Lo conferma la chiusura delle scuole con l’arrivederci all’autunno. Lo ribadiscono il cielo limpido e l’aria decisamente calda, i prati verdi e gli alberi fioriti.
Io ci ho fatto caso perché vedo tante finestre aperte e l’altra sera una signora ha messo una sedia sul balcone e ha passato un po’ di tempo là seduta, a godersi non so cosa, forse il passaggio della gente, forse il fresco della sera ancora priva di zanzare e moscerini. Forse solo a pensare, come faccio io.
Un gesto semplice, stare seduti fuori nelle sere d’estate, che nelle città del nord forse non è molto usuale. Al sud invece è normale.
Si aprono le porte e i portoni al piano terra, ma anche quelli ai piani alti. Le donne soprattutto, anziane e meno anziane, si riuniscono in gruppo ora davanti alla casa di una di loro, ora davanti a quella di un’altra. Si mettono fuori le sedie e si chiacchiera. Di cosa? Di tutto e di niente.
Della figlia di un conoscente che si marita. Di una coppia scoppiata e di quella che scoppierà perché tutti sanno che c’è il terzo incomodo, tutti meno chi dovrebbe saperlo, ma prima o poi lo scoprirà anche lui. Della crisi e di figli e nipoti che non trovano lavoro, ma si arrangiano come possono, tranne quello scioperato del figlio della comare, che campa con i soldi della madre, se li beve al bar e non si degna di sporcarsi le mani.
Si parla di quanto costi la verdura al mercato, del banco più conveniente. E c’è sempre quella che ha la campagna propria “…e aspettate che ve la do io un po’ di cicoria ché ne ho tanta che mi avanza. E pure due pomodori, che già sono maturi da mangiare, ma per la salsa ancora no, quella ad agosto”.
Si parla del prete che domenica ha fatto una bella predica a messa e del funerale di domani, di quel sant’uomo che abitava lì vicino e “… lo sapete che lo hanno trovato morto dopo tre giorni? E lo dicevo io che c’era qualcosa di strano e voi non mi credevate”.
Si parla delle luci della festa patronale, delle luminarie sempre più sfarzose, della banda che passerà proprio di lì, dietro il santo, e poi i bambini della prima comunione, che ognuna ha un nipotino vestito di bianco là in mezzo.
Magari si mangia un gelato o un pezzo di torta fatta in casa, basta non farlo sapere al dottore che poi brontola perché la pressione va su.
E poi chissà perché ci sono tante pettegole in paese che stanno sempre a parlare male degli altri, ma meno male che almeno noi siamo persone per bene.
I gruppi al fresco del crepuscolo possono essere anche di famiglie che si ritrovano dopo una passeggiata serale e “giacché ci siamo veniamo a salutare. Sì, dai, prendi due sedie che tanto qui macchine non ne passano e si sta bene”.
Nelle sere d’estate i bambini giocano in strada. Due calci a un pallone, una campana disegnata per terra, un-due-tre stella!, e perfino un nascondino. Biciclette che sfrecciano senza fari accesi e un gran vociare.
Nelle sere d’inizio estate mia madre era come la signora qui vicino: una sedia sul balcone tra il profumo delle fresie e gli strilli delle rondini. L’aria morbida, tiepida. La vista su un vicolo brutto, ma pieno di vita che si chiamava Corte dei Fiori, perché si diceva che una volta passò di lì il sindaco e vide così tante belle ragazze che esclamò “che bei fiori!”, e così diede il bel nome al vicolo brutto.
Ecco, quando inizia l’estate stare alla finestra a osservare la vita, ad afferrare un ricordo, è ancora più dolce.
(foto dal web)