GPA: non lo farei, ma voglio poterlo fare
Loro lo chiamano utero in affitto, proprio come i tanti Adinolfi di turno, ma per molti altri per fortuna è GPA, gestazione per altri, la definizione adatta. Loro sono le dirigenti di Arcilesbica nazionale, che in un recente comunicato stampa hanno preso le distanze dal clima di festa che precede la stagione dei Pride che porterà in 20 piazze italiane l’orgoglio LGBTQ.
Dalla stessa associazione fin dal 2012 il parere che gira è quello di un distinguo secondo cui la maternità surrogata può essere solidale e gratuita o meramente commerciale, secondo la presenza o meno di un vincolo economico. Distinguo condivisibilissimo, legittimo senza bisogno di arrivare alla mancata adesione al Pride, con tanto di finta apertura al dialogo da parte della suddetta associazione.
Ma facciamo finta che le menti di Arcilesbica abbiano cambiato idea così, per qualche repentina illuminazione, e andiamo oltre. Veniamo al dunque: quale logica porta, per esempio, a supportare un femminismo pro-aborto e poi a criticare la gestazione per altri? Se l’utero è proprietà della donna che lo ha in corpo, perché questa deve battersi per la libertà di controllarlo rispetto al genere maschile che vi esercita indebitamente il suo potere, ma poi deve subire le limitazioni di un altro gruppo di donne che vogliono porre paletti a quella stessa libertà? Qualcosa, in questa polemica, ha il sapore avariato della lotta maschi contro femmine. E proprio mentre il mondo LGBTQ, e sottolineo Q perché grande merito lo si deve proprio al peso delle identità queer e non binarie, avanza e fa fare, per inerzia, passi avanti anche a chi è banalmente – leggasi con ironia, please – eterosessuale, ecco che una “scaglia” fondamentale di questa sigla si tira indietro per farsi ortodossa e più che mai rigida. I passi avanti che si sono fatti finora sono stati resi possibili proprio dalla collaborazione di donne e uomini di ogni orientamento sessuale, nell’incontro e nel confronto continuo, nella tensione alla solidarietà come obiettivo comune. Non c’è femminismo che non sollevi anche il genere maschile da quelle goffe pretese di machismo, non c’è parità di genere che non sia di conforto per chiunque voglia fare le proprie scelte di vita in libertà completa. Il fatto che Arcilesbica adesso punti i piedi a terra e non voglia prender parte a un mese di festa per i passi avanti che l’Italia ha cominciato a fare nell’ultimo anno, di certo rattrista l’atmosfera generale. Oltre a rattristare, inquieta. Un po’ come quando nei film i buoni diventano cattivi all’improvviso e lo spettatore quasi ci rimane male.
Non credo che sarei mai una candidata scalpitante per una GPA, ma vorrei essere libera di poterlo essere. Come non credo che sarei in grado, personalmente, di abortire, ma ritengo che sia diritto di ogni donna poter ricorrere al modo più sicuro per farlo, in tempi stabiliti legalmente. Sono tante le cose che non credo che vorrò mai fare, nella vita, ma mi piace vivere con l’idea che, se un giorno decidessi di cambiare radicalmente idea, tutte le porte davanti a me sarebbero comunque aperte e le varie strade accessibili.
La costrizione genera di per sé malessere, l’idea dell’impossibilità di scelta basta a farmi sentir soffocare dall’oppressione.
La gravidanza è qualcosa di intimo e personale ed è difficile affrontare certi discorsi senza cadere nella trappola ingannevole della pretesa di universalità. Da un mese, sul posto di lavoro, affianco una ragazza più giovane di me e alle prese con la terza gravidanza. E io, quasi ventiseienne, vivo l’avanzare delle settimane con lei: il pancione che scende, il calcolo del percentile, i tracciati ogni quarantotto ore, l’agitazione di quella bimba che scalcia nel ventre materno ma che è ancora troppo pigra per abbandonarlo. “Solo una mamma conosce suo figlio prima ancora che nasca”, mi spiega la ragazza, e io so che anche se quattro anni ci separano io non ho sviluppato e forse non svilupperò mai il senso di maternità che in lei è spiccatissimo. Ogni tanto mi afferra la mano e la posa sulla sua pancia rigida per farmi sentire i colpi, poi ci guardiamo e sorridiamo e mi sento stupida ad aver ancora una volta pensato di essere in due quando è chiaro che ormai siamo in tre, che sua figlia è quasi pronta a venire al mondo.
Eppure, la constatazione di quanto enorme sia il miracolo della vita che nasce nel grembo di una donna non mi genera imbarazzo quando supporto chi sceglie consapevolmente di optare per la GPA. Non è questione di incoerenza, anzi: in comune fra le due realtà, apparentemente antitetiche, c’è molto più di quanto si possa credere. Ad esempio la gratitudine, la gratuità, la solidarietà e la vita.
Chi legge si senta libero di definirmi naif.