Niente di nuovo sul giornale
Le copertine plastificate che al bar rivestono i quotidiani io proprio non le capisco. Ora, posso immaginare che il senso di tutto ciò sia preservare la carta. Ma quanto deve durare un giornale? Un giorno, appunto. Forse è una questione di pubblicità. Pubblicità di imprese edili. E di agenzie di assicurazioni. E che, non sarebbe meglio una bella pubblicità di pompe funebri vista la clientela? Apro la copertina e mi accorgo di essermi sbagliato, cazzo. La carta è bianca e io la volevo rosa. Io volevo il giornale con la carta rosa, quello che parla di sport, di calcio, di ciclismo e pazienza se la mia squadra del cuore veleggia in un ritaglio a pagina trentasei.
Non si può leggere il giornale locale sorseggiando birra. Quello è buono per il caffé e la brioche. Stringere l’intestino e sorvolare le notizie dalla provincia. Ma la birra esige sudore, passione, balle. Tante balle. I giornali ne raccontano un sacco di balle, anche quelli rosa. Io comunque ci provo con quello locale, ma non funziona. Scorro l’indice sul bicchiere umido, seguo le linee create dalle gocce. Poi mi confondo e seguo le rette che ho disegnato io stesso con il dito. Quindi raggiungo un ritmo forsennato, frenetico e inizio a pensare a un clitoride. E mi fermo, perché mi scopro a mordicchiare il labbro inferiore e così non va bene.
Quindi raggiungo un ritmo forsennato, frenetico e inizio a pensare a un clitoride. E mi fermo, perché mi scopro a mordicchiare il labbro inferiore e così non va bene.
– Ne bevo un sorso dalla tua. Una intera non la voglio.
– No. Te la pago io, non c’è bisogno che ci smezziamo una birra.
– Non la voglio tutta, già te l’ho detto. Un goccio e basta. Che ti fa? Mamma mia, un goccio e basta.
Non la vedo, ma posso immaginare. Dev’essere castana, sul chiaro, e i suoi capelli devono essere lisci e lunghi, decisamente ben curati. Età pressapoco sotto i trentanni. Cerco conferma in qualche vetrata del bar ma niente mi riflette il tavolino che ho alle spalle. Di una cosa sono sicuro: “Che ti fa? Mamma mia, un goccio” l’ha detto sventolando metà chioma all’indietro. S’è pure gettata sullo schienale della sedia, penso. E magari ha pure incrociato le braccia.
– Non iniziare.
– Ma non iniziare che? Cioè, un goccio ti ho detto. Non la voglio tutta una birra.
– Ti ho detto che te la pago io.
– Ma paghi cosa? Ma pensi che non voglio sborsare tre euro? E’ questo che pensi?
Ora lei deve avere le mani giunte a mo’ di preghiera e la pupilla tremolante che viaggia tra l’orecchio e la punta del naso di lui, che evita lo sguardo e tiene salda la birra con entrambe le mani, come se lei davvero gliela volesse soffiare.
– Non ti ho detto questo. Non dire cazzate.
– Cazzate? Ma sei tu che stai andando fuori di melone. Ma ti rendi conto?
– Ti rendi conto cosa?
Lui deve averla fissata tutto ad un tratto. Potrei chiedere al mio attempato vicino, che se ne sbatte altamente dei morti a pagina trentasei e pure dei fatti suoi e torce il collo verso la coppia senza troppe remore.
– Adesso c’è bisogno che fai così? Ci dobbiamo fare compatire da tutti? Per una cazzo di birra? Guarda, tu sei fuori di testa.
– No, tu sei fuori di testa, cazzo! Stai montando un caso per una stronzata. Come sempre.
– Come sempre?
– Si, come sempre cazzo, come sempre. Ti ho detto: te la pago io. La vuoi piccola? Te la prendo piccola. Te la vuoi pagare da sola? Va bene, pagatela da sola. Ma la mia birra me la voglio bere io. Capito? Io la voglio bere. Potrò mai a questo cazzo di mondo bermi la mia birra tutta e in pace senza smezzarla con nessuno? Potrò mai? E non mi guardare così perché mi fai girare il cazzo ancora di più. Una questione di principio, cazzo, nient’altro che una questione di principio.
– Principio? Questi sono i tuoi principi? La tua merda di birra?
– Guarda, non mi devi rompere i coglioni. Se la vuoi capire bene, sennò vaffanculo. Sembra che la fai apposta a stuzzicarmi quando le giornate già sono di merda per conto loro.
– Ma vaffanculo tu, stronzo.
Lei si alza e esce battendo fragorosamente i tacchi ogni dieci centimetri di pavimento. Il mio anziano vicino si volta verso l’uomo, sorride ed esclama: le donne! ma l’uomo non è in vena di cameratismi e lo manda bellamente a fare in culo, quindi sbatte il bicchiere sul tavolo e raggiunge la porta in tre falcate.
Il vecchio mi rivolge lo sguardo incredulo. Io non so che dire, ma so che la gente da me vuole sempre sentire qualcosa di intelligente e allora tocco il bicchiere che ormai è asciutto e caldo e dico: i panni sporchi si lavano in Arno! Ma il vecchio continua a fissarmi. Evidentemente non mi ha nemmeno sentito oppure a Firenze non è stato mai.
Allora mi chino sul giornale rosa e setaccio pagina trentasei ma non trovo nulla che riguardi la mia squadra del cuore.
– Niente di nuovo sul giornale – dico.
– Poco – risponde lui, che probabilmente si è ripreso dal vaffanculo.
E ha ragione. Sul giornale bianco a pagina trentasei qualche figurina la trovi sempre. Altro che serie C.