Sala da ballo
Vai, vai che spengo io, dico alla signora delle pulizie. Stanotte ha fatto tardi davvero, ha pure una certa età, la mia. Anna, sorella diversa eppure uguale: me la ricordo bene quando quel venerdì sera entrò nel mio ufficio, l’occhio piccolo piccolo sperduto fra il viola dei lividi e le lacrime solide come un ghiaccio perenne. Potevo intravedere i fili dei capillari che stavano per scoppiare. Anna balbettava come una cantante che non conosce più le parole da pronunciare, con la sua gonna troppo corta e le belle gambe segnate da una mappa di cicatrici vecchie e nuove.
Gloria, per amor di Dio, mi aiuti lei, o mi uccido o lo ammazzo, io non lo so. Circa trent’anni, io e lei, uguali, una con le tracce della vita impietosa addosso e l’altra con le sgommate fatte per evitare quella stessa vita, che poi tanto diversa non è. Non dare confidenza ai dipendenti mi dicevano quando arrivai qui in Italia e aprii la mia sala da ballo. Un sogno che tenevo dentro dall’Argentina, pochi soldi in tasca e una determinazione a lasciare chilometri dietro le spalle. Lo schifo, la miseria e la puzza di quelle strade che non portavano da nessuna parte.
Era bello il culo di Maria, un altare per i pensieri più sacri del desiderio
Faccio un passo alla volta e guardo i miei piedi da vecchia, lo smalto dà un tocco di brio alle dita rugose nei sandali ancora così stranieri per questa terra che non è mai stata mia ma io sì che sono stata sua, figlia della fuga. Sento una nota, Don’t cry for me Argentina The truth is I never left you All through my wild days… stringo un’ombra davanti a me e sento le mani sui miei fianchi, sono mani delicate, femminili, mi accompagnano senza stringere. Sto ballando con le ginocchia che scricchiolano. Sei una pazza! urlava mio padre, non avrai mai la vita che vuoi. Fila dentro, in cucina! Non sei diversa sai, sei come tutte tu, come tutte.
My mad existence
I kept my promise
Don’t keep your distance…
Ho lavato le mani sporche di quell’uomo che chiamavo padre, pagando con la paura di vivere. Non esco mai dalla mia sala da ballo, le luci sono perfette, il pavimento è lucido, eppure qualche traccia di una scarpa che ha segnato due passi è davanti ai miei piedi. La seguo e sono sicura che mi porterà da qualche parte. Giro su me stessa. Lo specchio mi restituisce un’immagine di donna settantenne con le labbra prominenti tese come a cercare un bacio. Alzo lo sguardo e dietro al vetro c’è Anna, non è andata via. Ha messo un disco. E balla da lì, sorridendomi.
The answer was here all the time / I love you and hope you love me…
fm
Maria! Maria Fernanda! È qui una signora che si chiama Maria Fernanda? Controlli la prego per favore.L’hanno scaricata qui davanti. Trauma cranico, la stanno operando, ma lei che sa cosa è successo?Carabinieri.Lo so sono sicura, Mario, è stato Mario. Andate a casa di Mario, Mario Suarez, immigrato argentino.
T’amava, a modo suo. Nel modo più sbagliato eppure semplice in cui si declina l’amore.