Dove è finita la musica?
Quando Domenico Modugno spopolò vincendo il Festival di Sanremo nel lontano 1958 con la sua innovativa canzone ”Nel blu dipinto di blu” si ruppe definitivamente con la tradizione del passato, con le canzoni cuore-amore per interpretare il nuovo modo di intendere la vita e quindi la musica che ne è la colonna sonora.
Dopo cinquanta anni ancora intoniamo “Volare” e anche i giovani figli dei TALENT conoscono il ritornello della canzone.
Domenico Modugno si scontrò con la tradizione e la vocalità di Claudio Villa creando tra il pubblico un vero e proprio partito tra i melodici e gli urlatori.
In verità non fu difficile schierarsi: bastava soltanto seguire il gusto dell’ascolto.
Voce importante e con impostazione lirica quella del reuccio indimenticabile in “Binario” e “Granada”; voce calda e ricca di espressione quella del Mimmo nazionale non a caso allievo della scuola di cinematografia: recitar cantando e Modugno con la sua gestualità e le braccia aperte al cielo trascinò il pubblico.
I gusti, ahimè, sono profondamente mutati.
Il culto dell’immagine e l’influenza dei mass-media hanno abbassato notevolmente la qualità proposta fino ad indurre il pubblico a scegliere tra il “meno peggio”.
Dove è finita la buona musica?
Nostalgia dei tempi del GRANDE teatro d’opera dove il pubblico era diviso tra grandi interpreti con il solo imbarazzo di scegliere tra Maria Callas e Renata Tebaldi; tra cantanti che padroneggiando la tecnica emettevano suoni puri e perfetti così come lo spartito degli autori e la bacchetta dei grandi direttori d’orchestra richiedevano e quelli che consideravano il canto come Gsamtkunstwerk (opera d’arte totale).
Noi melomani avevamo soltanto l’incertezza nello scegliere tra gli artisti che prediligevano nell’esecuzione la limpidezza tecnica e quelli che mischiavano magistralmente la tecnica vocale all’interpretazione suscitando emozioni forti.
Oggi si assiste a spettacoli lirici dove i cantanti non solo “eseguono le note “ senza conoscere a fondo il personaggio e il libretto ma la stessa esecuzione è carente di tecnica e i suoni emessi sono traballanti e fastidiosi all’orecchio dei competenti.
Il proliferare di master class con docenti che hanno avuto una carriera breve e contraddistinta, spesso, da scelte errate del repertorio da eseguire è il sintomo di una decadenza del gusto e della professionalità.
Gli aspiranti cantanti cercano le scorciatoie per raggiungere le audizioni con le agenzie liriche che a loro volta, sudditi dell’ingranaggio commerciale, fanno debuttare e bruciare sui palcoscenici giovani ancora non maturi per l’esperienza teatrale con il risultato che il pubblico è costretto ad assistere a spettacoli di dubbia qualità.
Mi atterrisce l’entusiasmo degli spettatori distratti che si stanno abituando ogni giorno di più a mediocri esecuzioni .
Un esempio recente è stata la diretta su Rai 5 dal “Maggio fiorentino” dell’opera lirica DON CARLO dove i giornalisti accreditati e il pubblico in sala hanno dimostrato una conoscenza a dir poco approssimativa del capolavoro verdiano.
E che mi ha costretto, il giorno dopo, a rinfrescare la memoria musicale ascoltando una registrazione dell’opera verdiana dal teatro d’Orange nel 1984 con Jaime Aragall e Renato Bruson dove tecnica e arte scenica si mischiano in un connubio perfetto.
Dove è finita la musica se da Domenico Modugno a Francesco Gabbani sono trascorsi più di cinquanta anni mentre da Luciano Pavarotti al “Il Volo” soltanto meno di una decina?
Sta tutta qui la differenza tra le stelle del firmamento e le meteore.