Intervista a David Pérez
Foto © www.davidperezbailaor.com
Primavera 2015.
Seduti a un tavolo della Taberna Flamenca di Casa de la Memoria di Siviglia, David Pérez mi racconta i successi e le emozioni che il flamenco da ormai vent’anni, gli regala.
Un teatro o una peña? Dove ti senti più a tuo agio, o meglio, dove puoi esprimere meglio la tua arte?
L’ interpretazione e le sensazioni sono le stesse o cambia qualcosa se ci si esibisce davanti a dieci persone o cinquecento?
Cambia tutto. Le sensazioni sono diverse ma entrambe danno soddisfazioni.
Nel teatro c’è il sentirsi grandi, ammirati. La peña è la tradizione, l’intimità, la vicinanza. Sono terreni differenti, ma in entrambi ti senti veramente un artista, che è ciò che vogliamo tutti.
Faustino Núñez in una conferenza a Córdoba ha sottolineato l’importanza degli appassionati di flamenco stranieri, di quelli che non lo hanno nel sangue, dei turisti, per la sopravvivenza del flamenco e la sua diffusione. Qual è la tua opinione a tal proposito e come vedi l’interesse dello straniero?
Se lo straniero non si fosse interessato al flamenco, oggi quest’arte non sarebbe quello che è, dato che – mi azzardo a dire – l’80% del flamenco si sostiene tra gli stranieri che vengono qui e noi che andiamo all’estero.
Qual è il palo che più ti rappresenta e perché, e quale invece quello che ti risulta più estraneo, se ce n’è uno.
Mi considero un bailaor molto versatile. Mi cimento in cose più tradizionali e non. Sono uno dei pochi che ballano con il bastón, con las castañuelas, faccio verdiales, caracoles, caña, degli stili che sono ormai quasi dimenticati. Mi identifico in qualsiasi palo quando sono veramente io, con la mia anima. Può essere bulería, soleá, caña, un martinete con il mio bastón… Ma lo devo fare con l’anima, sempre, lo devo sentire in quel momento. Così mi sento identificato.
Essere maestro e artista. In quale momento senti che stai dando di più all’altro, pubblico o alunno, durante una lezione o un’esibizione?
Quando sono in un teatro sono David Pérez e do, senza pensare. Quando sono con i miei alunni devo essere più minuzioso, perché sono persone che stanno cercando qualcosa in me, quindi devo essere più attento. Vengono dal Giappone, dall’Australia, dagli Stati Uniti per prendere lezioni con me, quindi è importante avere più attenzione.
Il momento più importante e quello che più ti ha emozionato della tua carriera.
Ogni giorno continuo ad emozionarmi perché non avrei mai pensato di diventare bailaor.
Mi ricordo quando da piccolo vedevo i video a casa mia, da solo, perché nessuno a casa mia ballava o cantava, nessuno sapeva niente di flamenco, nessuna sa niente tuttora.
E mi emozionavo guardando questi video, li registravo. Non avevo nessuna idea di ciò che stavo vedendo, ripeto, nella mia famiglia il flamenco era del tutto assente, io stesso ho cominciato relativamente tardi a ballare.
Quindi ancora oggi mi emoziono ogni giorno, in un teatro, in una peña, in una festa, dovunque, perché non avrei mai pensato di arrivare ad essere chi sono oggi.
Per me qualsiasi momento è emozionante perché lo faccio con il cuore e perché non mi aspettavo tutto ciò.
Ho avuto, ed ho tuttora, la fortuna di lavorare in grandi teatri, di collaborare con grandissimi artisti, ho i miei premi vinti, giro il mondo… Tutto questo me lo ha dato il flamenco. Mi emoziono solo al parlare di queste cose.
Anche se mi ritirassi adesso mi riterrei soddisfatto.
I tuoi maestri, coloro che ti hanno insegnato qualcosa che non dimenticherai mai.
Quando sono venuto qui a Siviglia ho avuto la fortuna di entrare nella scuola di Manolo Marín. Ho cominciato con lui e con Javier Cruz, che ora non c’è più. Il primo era l’arte, l’altro la tecnica.
Manolo Marín mi ha insegnato ad essere libero. Diceva: “Non devi pensare tanto, balla!”. Javier Cruz invece mi ha insegnato il compás, le braccia…
Poi ho studiato con molti altri, ma devo dire che sono cresciuto di più sul palcoscenico che nelle accademie.
Ho cominciato presto a lavorare in un tablao ed erano i miei stessi colleghi che mi insegnavano tantissime cose. Ho imparato a ballare ballando e continuo a farlo. Ho avuto questa fortuna. Ho imparato – e continuo ad imparare – da tutti gli artisti con i quali sono venuto in contatto. Dal più grande al più “principiante”. Ognuno di loro mi insegna qualcosa.
Quali sono gli artisti che più ti piacciono della scena attuale del flamenco e con i quali ti piace o piacerebbe lavorare.
Della generazione attuale Rafael Campallo, Andrés Peña, Marco Flores…
Mi piacerebbe lavorare con Eva la Yerbabuena, è l’unica che mi manca. Non ho ancora avuto l’opportunità per un motivo o per un altro. Con tutti gli altri che mi piacciono ho già lavorato.
Le emozioni che provi proprio prima di andare in scena e quelle che sorgono durante lo spettacolo e alla fine, quando tutto finisce.
Prima di cominciare, sia un tablao che in un teatro, provo molto rispetto e un pochino di paura e di insicurezza.
Poi quando si comincia, non pensi più, balli e basta. E alla fine se senti che hai dato tutto ti senti soddisfatto, sono momenti magici; se invece non è così, ti prende una specie di conflitto personale che può durare anche tre giorni in cui pensi: “Avrei potuto fare questo, avrei dovuto fare quell’altro…”
Qual è secondo te il modo migliore per avvicinarsi al mondo del flamenco partendo da zero? Teoria, pratica o …?
Prima di tutto bisogna sapere cos’è il flamenco.
C’è gente che pensa che comprandosi un paio di scarpe e iscrivendosi a un corso di flamenco già si diventa bailaor/a.
C’è gente che confonde una sevillana con i Gipsy King o con una soleá…
Cos’è il flamenco? Che cosa esprime? Come si sente? Di cosa parla?
Una volta capite queste cose allora si comincia, ci si iscrive ai corsi, si impara il compás e tutto quanto.
È importantissimo anche vedere: può essere un video, o un live, ma sempre vedere.
La città che rappresenta la tua capitale del flamenco.
Io sono della scuola sivigliana, ma rimango aperto, perché riconosco che ho imparato cose anche da gente di Malaga, di Cadice, di Jerez…
Tradizione e modernità, dove ti collochi tra questi due poli, cosa pensi della scena attuale e cosa pensi degli “esperimenti”, della fusione di stili? Come vedi la presenza di altre musiche nel flamenco?
Io sono tradizionale e classico. Non ho né la formazione né la capacità di inventare alcunché, lo riconosco.
Come riconosco anche che se non ci fossero alcuni miei colleghi che rischiano, che sperimentano, il flamenco continuerebbe ad essere il flamenco degli anni ’30.
Per me tutto ciò che è fatto con testa e con capacità – e che apporti qualcosa – va bene.
Ma se da un lato il loro apporto è molto importante, dall’altro è anche fondamentale la presenza di artisti che mantengano la tradizione.
La difficoltà più grande del percorso che hai fatto fino ad ora.
Decidere se continuare ad essere bailaor oppure no.
Ci sono giorni in cui uno si chiede: “sarò nel cammino giusto?”
Perché è un lavoro emozionale, fisico, in cui sacrifichi tutto, famiglia, amici…
Quindi la decisione più dura è proprio questa. Ci sono momenti in cui si è pienamente soddisfatti e felici ma altri in cui non c’è tanto lavoro, ci sono momenti bui con tante altre difficoltà in cui il pensiero esce fuori.
Qual è il tuo sogno più grande? Hai qualche progetto ancora in sospeso?
Come ti ho detto il mio sogno è già compiuto, non posso chiedere di più.
Quello che posso augurarmi ora è che tutto ciò possa durare tanto, e che la gente possa vedermi e pensare “Questo è David”.
Continuare ad essere me stesso, dall’inizio alla fine.
Rimanere nella mia libertà e godermi al 100% tutto quanto.
Una persona non conosce nulla del flamenco. Quale disco gli presteresti per presentarglielo?
Direi qualcosa di commerciale ma tradizionale.
Per esempio “Entre dos aguas” di Paco de Lucía, o qualcosa di Camarón de la Isla come “Yo soy gitano”, o anche qualcosa di Chiquetete, o di Enrique Morente.
Se gli metti direttamente una registrazione di Antonio Mairena questa persona scapperà correndo e non vorrà più sapere nulla del flamenco!
Deve essere qualcosa che gli rimanga in testa, qualcosa che lo introduca piano piano… poi da lì può cominciare a scoprire il resto.
Grazie mille a David Pérez per l’intervista e in bocca al lupo per tutto!
Non perdetevi il video qui sotto per scoprire David Pérez.