Il polline e il senso della vita
– Che cazzo rappresenta il polline? Che roba è? Cazzo c’hanno da girare tanto?
Non saprei dire da quanto tempo i miei occhi sono fissati sulle lettere CV. C’è scritto CV e poi segue tutto il resto, ma io ho le pupille ferme su CV e non vado oltre. In primavera rallento, mi impigrisco. Mi porto il pollice alla bocca, ma senza morsicare. Apro il palmo della mano, forse pronuncio “Mah”, che è più elegante di “boh”, forse non pronuncio nulla e muovo le labbra solamente. Poi riporto la mano al volante.
– Voglio dire: tutto ha un senso, no? Anche quegli insetti che si portano appresso la loro palla di merda hanno un senso. Non esistono cose inutili in natura. Altrimenti qualcuno le toglie di mezzo. Tu: non c’hai mica senso e la tua progenie non vale la candela e la tua razza conta meno di un cazzo e quindi fuori dai coglioni, estirpatevi dal mondo. O sbaglio?
– E quale è questo senso? – se mi chiedessero le prime lettere della targa non saprei comunque rispondere. Leggo e non recepisco. Succede, in primavera.
– Farsi mangiare da un gatto, forse. O da un uccello. O farsi schiacciare da un paio di Timberland – silenzio. Forse anche lui ha lo sguardo fisso sulle lettere della targa innanzi. O forse è attento, molto attento e guarda alla sua sinistra, dove le case si sussegguono a cadenza regolare, nella speranza di rubare uno scorcio di vita in un giardino o in una finestra aperta al sole, al vento e al polline – un’esistenza di merda. In tutti i sensi. Fosse per me mi ucciderei appena nato. Anzi no. Prima accopperei mia madre, che mi ha generato, poi i miei fratelli che sono sfigati come me. Poi me stesso. E che cazzo.
– Tu non sai niente. Un cazzo proprio. Parli perché hai la lingua in bocca – riassetto le natiche sul sedile e muovo deciso il collo per impedire alla cervicale di prenderne possesso – magari questi fanno a gara a chi ha la palla di merda più grossa e ci sono i frustrati con le palline che invidiano quelli con le super palle di merda. E questi ultimi comandano il mondo e gli altri li imitano. Voglio dire, anche tra loro ci saranno quelli felici e quelli che l’han preso in culo – penso di aver detto una cosa intelligente. Mi riassetto gli occhiali con l’indice della mano. Poi aggiungo – come te – perché non vorrei sembrare troppo intelligente. Perché tale conversazione non merita troppi sofismi.
– Magari si fanno pure i selfie. Mille like ogni etto di cacca – poi ride. Accondiscendo, ma ancora una volta non ho certezza di aver emesso suono alcuno. Accarezzo il volante con le dita di entrambe le mani. CV. Sgrano gli occhi. Devo spostare l’attenzione. Mi volto verso lui mentre ricomincia a parlare – Io lo conosco il senso della vita del polline, comunque.
– E quale sarebbe? – penso dovrebbe farsi crescere la barba. Tutti dovrebbero lasciarsi crescere la barba. Tutti no. Conosco uno che non starebbe per niente bene. Abita due piani sopra di me. Lui no davvero. Nemmeno un dito di pelo.
– Fottere.
– Fottere.
– Si. Fottere. Come me, come te.
– Ascolta – CV673GL, mi pare di leggere anche la concessionaria, forse mi sono avvicinato troppo – io non ho voglia di stare a sentire ste cose. Va bene così. Mi va proprio bene così, davvero, mi fa un sacco piacere per loro se fottono. Che se la spassino. Ascolta il CD. Mi hai chiesto i Cure, te li ho messi, ora lascia perdere i pollini. Guardali, ecco, guardali svolazzare là fuori e lascia che si corteggino tra loro. Guarda che bello: i filari, il grano tenero come un prato – meno una mano per l’abitacolo, quindi la poso sulla leva del cambio – guarda e ascolta i Cure – concludo indicando la radio con l’indice.
– Tu la fai semplice.
– Cosa?
– La questione dei pollini. Mica è così semplice. Loro devono trovare qualche fiore da impollinare, che poi significa fottere. Ma non è così semplice. Molti trovano il fiore sbagliato. Altri si infilano nel naso di qualcuno o nel filtro di qualche auto. E la maggior parte finiscono in un mucchio indistinto. E cosa ne è stato di loro?
Un mucchio indistinto, un agglomerato ellittico di pollini che non hanno trovato un senso alla loro vita. Quando ero piccolo mi piaceva guardare i mucchi indistinti di pollini rotolare nei parcheggi. Mi piaceva guardare le persone che avevo accanto e immaginarle felici nel loro piccolo mondo realizzato. Mi piaceva andare in auto e guardare dal finestrino gli alberi sfilare in rassegna davanti ai miei occhi. E non pensavo che i conglomerati di polline fossero residuati di esperienze fallite e nemmeno che le persone potessero avere vite fallimentari e in auto non andavo mai perché nessuno nella mia famiglia guidava e ora in auto ci sono sempre ma gli alberi non li posso guardare a meno di non voler combaciare la mia targa con CV673GL.
– Per noi è diverso – dico. Non so se lo penso.
– Forse – risponde. Si è portato un dito al mento. Non so dove abbia lo sguardo. Forse si cerca il viso nello specchietto laterale – Diverso si. Più complicato, di certo. Perché noi abbiamo tante cose a cui pensare, non solo trovare un bel fiorellino da impollinare. Tante cose – ha la voce sempre più flebile – tante. Però il pericolo c’è sempre.
E quale è il pericolo non lo dice e per un attimo rischiamo di incrociare lo sguardo, ma deviamo subito le traiettorie perché entrambi abbiamo il terrore di vedere conglomerati di polline riflessi negli occhi dell’altro.
Appoggio il mento alla spalla sinistra. Forse bacio la mia spalla. Bacio me stesso. Ti voglio bene, non ti lascerò rotolare in un parcheggio del cazzo e non lascerò che il naso di uno stronzo di starnutisca assieme al muco schifoso.
Era bello essere piccoli e racchiusi in un bocciolo. Ora si è polline e bisogna svolazzare.
CV svolta a sinistra. La seguo con lo sguardo. C’è una fattoria. Si chiama “America”. Così c’è scritto sopra la stalla: America. E pollini che svolazzano in ogni dove.