Avrei dovuto dirti ti voglio bene
ha il fiato corto, le emozioni non solo tolgono le parole ma anche il respiro
La pioggia cade incessante e violenta da un cielo viola, livido di botte scure e cosparso da nuvole grigie.
Gocce d’acqua scendono su ogni dove, e le case e le macchine e i negozi diventano grandi impermeabili che la gente comincia ad indossare di fretta.
I bar si riempiono di gente bagnata, l’aria diventa soffocante, qualcuno beve un caffè in piedi, altri cercano un posto per sedersi.
Sera inoltrata, le strade accolgono macchine lucide d’acqua e riflettono luci di una città che con la pioggia sembra essere ancora più viva.
Loro sono lì, nella macchina di Saverio che profuma ancora di nuovo, a fissare l’acqua che cade monotona, addosso hanno un’inquietudine che non è dovuta solo al temporale.
Ognuno con i propri pensieri e i propri occhi diretti oltre la pioggia di quella sera.
Abbandonati dentro la macchina con i loro sguardi mesti sembra che gli anni si siano avvolti di colpo lungo i loro corpi, rughe di cuore più espressive di quelle della pelle.
Sembrano in cerca dell’ anima che hanno appena perduto.
“Cosa vuoi fare?”
La voce di Elena è fredda, come la sua pelle.
“Sinceramente non lo so.”
Quella di Saverio è confusa.
Fra loro nuovamente silenzio, pensieri liquidi e umidi infilati nella testa. sembra che gli anni si siano avvolti di colpo lungo i loro corpi, rughe di cuore più espressive di quelle della pelle
Diluito nei minuti lunghi del loro mutismo il cielo viola torna ad essere di un blu più sereno e le nuvole lentamente vengano spazzate via da un leggero vento.
La pioggia che cade ora, è una pioggia tenue e delicata, la gente esce nuovamente dai bar e dalle case svestendosi da quei grandi impermeabili fatti di tetti e mura per tornare ai progetti interrotti.
“La pioggia mi ricorda mio nonno.”
Adesso la voce di Elena è calda, quasi commossa.
“Com’era?”
“Un uomo molto saldo nei suoi valori. Mi ricordo ancora i suoi risotti, mi ha insegnato lui a farli.”
Saverio le sorride.
Quando si è adulti i ricordi d’infanzia hanno la capacità di renderti terribilmente triste e felice insieme, il mondo, quella sensazione la chiama semplicemente malinconia.
La macchina si riaccende con un rumore lento contro l’attrito del vento.
“Dove andiamo?”
“Ti porto a conoscere una persona.”
Elena annuisce dolcemente, anche questa è fiducia: affidarsi all’altro quando nella mente non si hanno più mete da raggiungere.
L’auto si fa spazio tra le strade brillanti di acqua, attorno le mura antiche, qualche edificio vecchio e qualche negozio nuovo, le sere d’estate tipicamente cittadine fatte di musica e festa. L’auto delicatamente sale verso il crinale che domina la città, abbandona i vicoli di botteghe e si avvicina alla luna.
Le case antiche e le colline piene di luci estive vegliano sulla città bassa come il guardiano di un vecchio faro, c’è profumo di erba fradicia e di asfalto caldo.
“Come brilla la città, da qui.”
“Bella, vero?”
Saverio continua a guidare con gli occhi fissi sulla strada, guardandola ogni tanto, di sfuggita, a scrutarle gli occhi per vedere se per caso una lacrima scende.
“A cosa pensi?”
Le domanda.
“Là, in quel punto esatto ci siamo baciati anni fa. Lo raccontai a mia nonna, ma origliò anche il nonno.”
“Ti manca, vero?” il mondo quella sensazione la chiama semplicemente malinconia
“So che vi vuole tempo, ma non riesco ancora ad abituarmi.”
Rimangono in silenzio per un po’, poi scendono dall’auto andando incontro all’afa della sera.
“Mi dispiace per come sono andate le cose, fra noi.”
Saverio ha il fiato corto, le emozioni non solo tolgono le parole ma anche il respiro.
Entrambi calpestano grossi sampietrini buttando qualche volta, qua e là, gli occhi al cielo e alle stelle e poi ai loro volti.
“Nonostante tutto, sei l’unico amico che considero tale nella mia vita.”
“Lo so.”
“Avrei dovuto dirti ti voglio bene.”
“Anche io avrei dovuto dirtelo.”
Si sorridono e si abbracciano, continuando a camminare in silenzio, ognuno con un nuovo ricordo nel cuore per poi scomparire nelle vie semibuie della città.
“Ecco, siamo arrivati.”
Elena alza gli occhi sulla casa che ha di fronte, a fatica legge il nome sul campanello tutto arrugginito.
“Dove siamo?”
“A casa di mio nonno.” anche questa è fiducia: affidarsi all’altro quando nella mente non si hanno più mete da raggiungere
Saverio sposta un mattone e tira fuori un grosso mazzo di chiavi.
“Prima che si sposasse con mia nonna, lui abitava qui, un posto piccolo ma che diceva racchiudesse un grande pezzo di vita.”
“Perché mi hai portato qui?”
“Tu ora non lo puoi capire, ma la vita va avanti. Hai bisogno di sentire che la vita è uguale per tutti.”
“Non mi hai mai portato qui, prima.”
“Forse non ero pronto.”
“E ora lo sei?”
“Certo, anche noi siamo andati avanti, giusto?”
“Giusto.”
Entrano dal portone abbracciati, forse avrebbero dovuto dirsi ti voglio bene molto tempo prima, eppure dentro quella casa non è ancora troppo tardi per dirselo.