Corri a tutta felicità
Questa cosa del diritto d’autore mi ha sempre lasciato perplesso.
Lo sappiamo tutti che nessuno al mondo è più in grado di dire qualcosa di nuovo.
Quanti pacchi di secoli sono passati da quando abbiamo lasciato in uno zoo i nostri cugini pelosi, aggrappati al ramo sfigato dell’evoluzione?
Sono ancora lì che aspettano una nocciolina, quegli scimmioni senza parole, scrittura, memoria; mentre da questa parte il divino Omero, messer Dante Alighieri e sir William Shakespeare hanno già avuto tutto il tempo di scoperchiare i mille segreti di Pandora.
A che serve il diritto d’autore? Vogliono impedirmi di parlare o vogliono, semplicemente, che io riconosca che tutto quello che dico è stato già detto, scritto, pensato prima di me?
Va bene, non c’è problema. Lo riconosco.
Un’altra cosa che non mi ha mai convinto è quella roba lì del migliore dei mondi possibili.
Kim il coreano e Trump il pistolero cavalcano sui loro cazzuti missili da esposizione, belli freschi, con un’inverosimile urgenza a spararla più grossa e non ci credo proprio che non avremmo potuto smazzare qualche carta migliore di quei due di briscola che ci ritroviamo tra le mani. Per essere il migliore è davvero un pochettino mediocre questo mondo qui.
Eppure ancora una volta devo ammettere che cose che mi hanno sempre lasciato perplesso hanno un qualche fondamento plausibile.
Si tratta di un fondamento alto, più o meno, novanta centimetri.
L’altro giorno la nanetta che vedo circolare per casa da un paio d’anni abbondanti, la quale mi dicono abbia un qualche legame non ancora del tutto chiarito col sottoscritto, ha lanciato uno slogan di quelli da sessantottina rivoluzionaria che mi ha fatto trasalire con un sorriso.
Parlava con uno tra Tobia, Ettore, Ninni, Smilzo, Deddi, Coci, Zietto, Otto, Ninni piccola, Raffa (o forse con tutti insieme allo stesso tempo) e le ho sentito scandire esattamente le seguenti parole: Corri a tutta felicità.
Direte che basta veramente poco a far crollare le mie certezze. Ma voi non conoscete la nanetta di cui parlo e quanto persuasivo sia il suo carisma da opinion leader.
Comunque sia, la verità è che ogni tanto vengo preso di soppiatto da assalti alle spalle che mi lasciano senza fiato.
Parlo di strane occorrenze in cui mi sento improvvisamente circondato dalla felicità. È una sorta di istantaneo assedio interiore. Non so come altro descriverlo. Si tratta di attimi, naturalmente, ma così pieni da essere indimenticabili. Ho pensato che fosse giusto celebrare questi incontri e soprattutto che fosse necessario che ogni tanto, almeno tra di noi, venisse allo scoperto questo segreto.
La felicità esiste ed è in agguato ad ogni angolo.
A quindici anni guardavo il cielo di maggio riempirsi di rondini, osservavo i tetti sotto quel cielo, misuravo i voli incrociati, il tempo intrappolato nei colori sfatti delle tegole e mi sembrava uno spettacolo straordinario e nuovo come se fosse stato creato tutto lì, in quel momento.
Sapevo già che ogni pensiero che mi passava per la mente era stato pensato e ripensato centinaia, migliaia di volte. Eppure tutto mi sembrava nuovo e bello. Avevo quindici anni.
Forse il Dio che cercavo mi si era presentato con le sembianze di un gioco poetico. Forse avevo già raccolto nella mia memoria del futuro il significato del corri a tutta felicità.
Quelle rondini sembravano avere già ascoltato l’invito della nanetta.
Si trattava in effetti di un cielo spalancato, un rovescio di azzurro intenso, prima dell’imbrunire.
Un azzurro profondo che non ho mai più rivisto in nessun altro momento della mia vita, così azzurro da togliere il fiato. Ero sotto attacco: dolce, inarrestabile, appassionato assalto della felicità.
Un azzurro siciliano senza risvolti di mare, tutto contrasto di terra e di luce, un azzurro intenso tagliato da voli e grida di rondini. Una linea d’orizzonte di colline, di case di paese, di campanile in pietra bianca, di spigoli addolciti, di gatti alla finestra, di panni stesi.
Ricordo ancora la rincorsa e lo slancio dei miei polmoni per risalire alle profondità del mio respiro e recuperarlo lì dove era stato sospeso. Mi sembrava di avere nel petto tutto l’azzurro del cielo.